What if I say you're not like the others?


Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!

mercoledì 31 marzo 2010

Le ore

''S'innamorano solo i ventenni e le cameriere. Non innamorarti.'' (Anonimo)




Tic Tac Tic Tac Tic Tac

A

Pace,
Ago che cuce le due rive del fiume.
Calma,
Azione che prolunga l’attimo.

B

Occhio nocciola
Respiro dei secondi.

Farfalla d'illusione
Anima dei minuti.

Casa del futuro
Luce delle ore.

IO

martedì 30 marzo 2010

Salto...


Ci sono delle volte in cui vuoi frugare dentro di te in cerca di una prova, un indizio che ti dimostri che quello di cui stai tentando di convincerti è vero, capita però, di trovare soltanto dei resti carbonizzati di quello che credevi esserci. La tua razionalità ha ucciso le confortanti false verità che amavi raccontarti.
Scavo in cerca di quello che voglio trovare, di qualcosa che in realtà non esiste se non nella mia immaginazione, la quale non si sa imporre al punto da costruire adatti scenari per le sue seppur desiderate rappresentazioni.
Una volta accertata l'impossibilità del volo pindarico non resta che la seconda opzione:
La razionale, impietosa constatazione dello status quo...o nondimeno un'elegante noncuranza?
Opto felicemente per la seconda, salgo sulla giostra e fingo che quello che sto montando sia un vero cavallo, che il paesaggio cambi continuamente e non sia un rotondo ripresentarsi del medesimo contesto. Mi sposto senza viaggiare, ma impreco silenziosamente contro la statica inutilità dell'avvicendarsi monotono delle scadenze.
E se saltassi?

lunedì 29 marzo 2010

Carta Vetrata - Contessa

Pochi giorni fa ho appreso una notizia per me sconvolgente.
Stavo guardando distrattamente il TG de La7, l'unico telegiornale in Italia, insieme al TG3, degno di tale nome, e nella sezione dedicata alla cultura è andato in onda un servizio su tale Paolo Pietrangeli. Come me, vi chiederete chi è costui, o magari lo sapete già: è l'autore di "Contessa", una delle canzoni di protesta più belle e sentite -emotivamente parlando- mai scritte da un cantautore. Per capirci, l'inno del '68 italiano.
Ho sempre pensato che questa canzone fosse dei Modena City Ramblers, l'ho sempre sentita cantare da loro, l'ho sempre e solo ballata ai loro concerti. Ma sarei scemo se una scoperta del genere mi sconvolgesse; ammetto di averlo fatto in passato, quando scoprii che Knockin' on Heaven's Door non era dei Guns ma del più emozionante Dylan. Ma ero adolescente e comunque non è questo il punto.
La scoperta che mi ha turbato è stato apprendere il mestiere attuale di questo cantautore di protesta degli anni '60 -anni in cui schierarsi politicamente era soprattutto un atto di coraggio-: Paolo Pietrangeli è passato dal sangue sui muri degli operai in sciopero alle telecamere del talent-show più vuoto e populista di tutti i palinsesti. In altre parole è il regista di "Amici". E' superfluo sottolineare cosa questo programma rappresenti per la cultura e gli ideali degli adolescenti attuali.
Ora, non ho mai criticato chi, a un certo punto della sua vita, si stanchi di rincorrere un sogno e pensi con più pragmatismo e materialismo alla sua carriera, anche se fatico a condividerne lo spirito. Scendere a compromessi con la realtà e saperci convivere: non certo il mio ideale di felicità ma insomma, niente di deprecabile.
Trovo invece assurdo come una persona possa cambiare ottica in modo così radicale, seppur non dal giorno alla notte. Guardare la vita da un punto di vista diametricalmente opposto a quello urlato in anni giovanili. Un vero atto di coraggio, o una resa senza armi del proprio io.
Mentre scrivo sono su una riva del lago di Como; una riva in cui non ero mai stato e dalla quale non avevo mai visto il panorama. Visto da qui, il lago assume tutti altri contorni, altri colori, nuove prospettive, non migliori o peggiori, ma ovviamente diverse da tutte le altre, mentre lo specchio d'acqua continua a rimanere lo stesso. Credo che il sig. Pietrangeli abbia fatto il mio stesso ragionamento, applicandolo alla sua vita.
Questa notizia non cambia certo le sorti né della mia né delle vostre vite, ma credo faccia riflettere sul prezzo che ogni uomo dà ai suoi valori e alla sua integrità; e ultimamente mi sento di essere in un gigantesco discount con saldi e super offerte dappertutto.
Per quel che riguarda me, succederà che, d'ora in poi, ascolterò "Contessa" con un filo di malinconia in meno, e un pelo di tristezza in più.

domenica 28 marzo 2010

Moti ondosi

La vedi all'orizzonte,

non puoi non vederla,

prende tutto il tuo campo visivo.

Travolgente l'onda arriva,

un muro alto e spesso

che prima di abbattersi

risucchia tutta l'acqua che ha davanti,

con essa il tuo respiro.

Di sicuro ti spezzerebbe la schiena

se anche tu non fossi fatto d'acqua.

sabato 27 marzo 2010

Giano - Yin Sano in Yang Sano

Bruciati subito                              Non Sprecare le forze
e rinasci dalle tue ceneri,                                   Invano
Non ti riposare:                                       sii pronto per
dormi per il piacere di farlo.                         l'Occasione.
Incontro ad una folla                           Evita la battaglia
battagliero grida:                                       per vincere
"quanti siete???                                              un altro
10? 100? non mi bastate..."                                giorno
Chiudi gli occhi                                              mantieni
e buttati                                                    il controllo
accetta                                                        accetta
un consiglio                                              un consiglio
sii saggio                                                      sii pazzo

giovedì 25 marzo 2010

E' solo un disegno



Mi siedo comodo, davanti ho un foglio bianco. Disegno. Prendo in mano la penna che ho scelto. Quella con cui mi trovo meglio, è una penna a gel. E' la mia preferita perché mi dà un tratto fluido, che non si interrompe nel bel mezzo della linea che sto tracciando. Quando la uso, sembra di disegnare con un pennarello molto sottile. La fluidità è il segreto.
A questo punto sono già in paranoia. Davanti a un foglio bianco, con in mano una penna che lascerà un segno indelebile, sono terrorizzato dal non sapere cosa disegnare e intimorito dal produrre qualcosa che tutti guarderebbero come un obrobrio. Mi atterrisce sapere che quel foglio bianco non è solo un foglio bianco, è l'universo con tutte le sue infinite possibilità. Non posso fare a meno di notare che le cose più interessanti avvengono sempre in tempi incalcolabilmente piccoli. In dimensioni ripiegate su loro stesse. Il momento che cercavo è proprio questo, la confusione completa, il dubbio paralizzante. Osservo l'indecisione e le mille scuse che mi passano per la testa, che mi vengono per il solo fatto di dover tracciare una linea su un foglio.


Ok, da dove comincio? Inizio dal lato sinistro perché magari così .....
Oddio, ma quanto lo faccio grande sto disegno? Deve assolutamente venire bene che poi se lo vede qualcuno....
Prima linea, la traccio orizzontale o inclinata? Forse meglio orizzontale perché..... .
Quanto lunga? No, corta che poi se sbaglio ..... .
E dire che quando ero piccolo mi dicevano che disegnavo benissimo. Se mi viene uno schifo lo brucio sto foglio .... ma che cavolo vado a pensare....
Meglio una curva? Uffaaaaaa, sono uno stupido, mi incasino per così poco, perchè diavolo mi sono messo a disegnare..... forse era meglio fare qualcos'altro...!!!! E' ora di smettere di sprecare tempo con le sciocchezze.


Il mio lavoro durante tutta la giornata è questo, guardare le domande e le risposte che mi balenano nella mente. Guardare. Ma non toccare. Qualcuno, da un certo punto di vista, potrebbe dire che sono masochista.
Dubbi esistenziali su azioni banali come può esserlo disegnare. Nessuna di queste domande è mia. Nessuna delle risposte è farina del mio sacco. Sì, i pensieri rimbalzano da una parte all'altra del mio cervello, ma non per questo i dubbi sono veramente miei. Non so se riuscite a capire quello che intendo.


Non ho ancora tracciato una linea e sembra che sia passato un secolo. Sarà forse che disegnare è un'esperienza più intensa di quello che immaginavo?

Proprio quando tutte le domande, come stelle morenti, collassano su loro stesse, vedo che le risposte non hanno importanza. Vedo solo che l'utilità del dubbio si risolve nella comprensione della sua inutilità e, sotto un pioggia di stelle avvizzite, riesco finalmente a fare la prima riga sul foglio.

mercoledì 24 marzo 2010

Luce

Questa volta avevo visto qualcosa di più,
non semplicemente un bel viso, un sorriso,
ero riuscita a scalfire il muro esterno che ci ricopre
e ci nasconde,
uno spiraglio sottile di luce era arrivato più in là
oltre quella parete
finemente affrescata oppure spoglia
che ci riveste e offusca la vista.
La luce che ho visto per un istante mi ha abbagliata,
ma so che devo distogliere lo sguardo.

Non posso continuare a guardare quel bagliore.
Non devo.

martedì 23 marzo 2010

Ombre - Sogni

Sogni come Tigri
nella Foresta
inseguili!!!
Acciuffali per la coda
battetevi
con le unghie e coi denti
comunque vada
non sarai
domato

lunedì 22 marzo 2010

Fly One Time - Infinito


Ti avvolgi su te stessa,

lasciandoti dietro effimeri vortici.

Sospingi, sicura e costante,

il primo sogno di blu, di luce, di altezze.

Lo realizzi e lo moduli,

facendolo dolce, intenso e soave

come le note di un violino.


sabato 20 marzo 2010

Espressioni

Sento di avere bisogno di scrivere, ma ora che mi trovo qui davanti allo schermo questo vasto bianco mi spaventa. Ritorna allora la mia settoriale, infantile timidezza di bambina. Ed a quel genere di imbarazzo si aggiunge ora il pudore nell'esporre le mie mentali nudità. Sono persa nella foresta, ho smarrito il sentiero che solo fino a poco tempo fa potevo distintamente scorgere. La terra nuda, l'erba erosa dal passaggio, ha da qualche tempo lasciato spazio ad un incolto e indeterminato tutto dove selvaggia la natura domina. Gli alberi si stringono ora contro di me, in un silenzioso accordo. Corpo e testa, umiliati, stanno perdendo sangue da invisibili ferite. Le piante che con cura ho scelto, e con disinvolta e voluta distrazione ho ignorato, sono adesso cresciute, al punto da impedirmi vista ed orientamento, astratta materializzazione dell'ingombrante, metaforica impasse. Seppur lontane si odono voci, di persone e di vita che non possono arrivare a me, come io non posso raggiungerle. La vegetazione, innaturale estensione della mia persona, indesiderato prodotto della mia incoscienza, con amorevoli e infinite braccia finalmente mi stringe. Mi stringe.

venerdì 19 marzo 2010

Fly One Time - Direzione Caselle

Finalmente è sabato! La giornata è stata frenetica e sfinente come tutte le altre: sveglia all’alba, corsa in motorino in direzione Torino Esposizioni, incontro con Lorenzo, accompagnamento con lui a Palazzo Venturi, breve pisolino nel corridoio dell’università, di nuovo Torino Esposizioni e di nuovo corsa verso casa. Lì una cagnoletta mi attende per essere portata all’addestramento!

La giornata sta per finire, ma sta per prendere una piega tanto attesa e desiderata.

Il ritorno a casa dal Club Cinofilo è sempre impegnativo; bisogna lavare il cane, la sua roba e me stessa, torno sempre ricoperta di fango, ma soddisfatta: la piccola mi rende sempre più orgogliosa dei soldi e delle energie che mi sta facendo spendere!

Cavolo! Non posso perdere ancora tempo! Il suo aereo arriva alle 20.15. E’ meglio che parta, non voglio farlo attendere, e io non voglio aspettare un minuto in più del necessario.

Fammi impostare il navigatore. Caselle non è distante, ma non vorrei proprio perdermi!

Bene, si parte. Direzione Corso Allamano.. ah, Caselle! Perfetto, posso anche spegnere questo navigatore della guerra del ‘15-‘18!

La radio sta trasmettendo Hurricane, mi mette proprio di buon umore questa canzone, 8 minuti di felicità.

Oh mamma mia, ma puoi andare così piano?? Ho fretta, non posso proprio arrivare in ritardo, dai, fatti superare!

Sono proprio stanca, ma felice, mi ha detto che è andata proprio bene in Puglia, ha preso un sacco di contatti e il mese si è concluso alla grande, forse ci siamo!! Speriamo, perché ci sono un sacco di progetti da incominciare!

“…Says, "Wha'd you bring him in here for? He ain't the guy!"…” Magnifica!

Chissà come sta procedendo il suo viaggio, sarà affamato. Avrà di nuovo tentato di entrare nella cabina del pilota a curiosare?! Chissà se questa volta è riuscito!

Aeroporto. Arrivi…di là! Arrivata! Ma dove la metto questa benedetta macchina?! Scommetto che se la lascio qui, mi becco una multa appena mi allontano. Dai, mettiamola nel parcheggio a pagamento. Sono persino arrivata in anticipo, vabbè, aspetterò un po’.

Allora, allora, il volo in arrivo da Brindisi. Ci siamo. Fammi cercare una panchina, ma non c’è nulla da leggere?? Per una volta che non mi porto il libro dietro. Ah, sta uscendo della gente, è impossibile che sia già qui.

Ehi! Ma è già qui?? E già, è proprio lui, alto, magro, cappotto e trolley con sé…che aria seria! Mi vedi? Sono qui, che scemo, ma dove guardi??! Ahaa… ecco!!

giovedì 18 marzo 2010

Non ti ho mai visto così bello e ridicolo

"OH MIO DIO" è tutto quello che riesci a dire quando entri lì dentro. Fai in tempo a girarti e vedere i loro volti. Poi non senti più le gambe.

Svieni.

Odori penetranti, luci accecanti, rumore assordante, infinito.

Un tamburo in testa non smette di violentare il tuo risveglio e senti distintamente le vene sulle tempie che pompano sangue troppo abbondante per non straripare.
Il naso ti brucia. Gli occhi secchi gridano dolore. Le orecchie divampano pietose.

Sei steso su una lastra di marmo bianca come il resto della stanza. Bianchi i muri, bianche le luci, bianca la tua pelle, così come i loro camici.
Ti fissano in silenzio. Occhiali scuri, impenetrabili ai loro occhi, eppure sai che che ti stanno fissando. Ascoltano ogni tuo lamento. Eppure cuffie enormi proteggono le loro orecchie.
Avverti un conato di vomito. Ti volti all'indietro mentre la schiena dà una frustata al collo che si piega in avanti insieme alla tua testa, in un'onda sussultoria che sale insieme a quello che ti hanno fatto mangiare. "NON FARLO CAZZO" ti urlano mentre in due si lanciano su di te. Uno stringe forte il braccio al tuo collo mentre con la mano ti tappa la bocca. L'altro cinge il tuo addome con entrambe le braccia, costringendoti a stare seduto con le gambe penzoloni e senza forza. "Non farlo" ti ripete a bassa voce. Ti fissa e ha un sorriso sordido che ti gela il sangue. Riesci a ributtare tutto indietro e senti il tuo intestino esplodere di fitte.
Non riesci a dire niente, dalla tua bocca solo qualche mugugno. Non riesci a muovere nessun muscolo. Riesci solo a maledirti per aver risposto a quel dannato annuncio.

To be continued...

mercoledì 17 marzo 2010

Senegal 2009 - "Nei giorni successivi, la maggior parte di noi prese l’abitudine di fare il bagno prima di cena"

Gli altri ragazzi tornarono a casa più tardi di noi.
Insabbiati, sudati e sporchi di vernice.
Non entrarono neanche in casa: l’oceano a portata di mano offriva all’ora del tramonto un’ideale opportunità di ristoro. Nei giorni successivi, la maggior parte di noi prese l’abitudine di fare il bagno prima di cena.
A quell’ora il sole era ancora abbastanza alto ma prima di scomparire si nascondeva a lungo tra le nuvole basse dell’orizzonte. La costa si dipingeva di colori più caldi dando sollievo alla vista sfinita dalla violenta intensità della luce diurna.
Dopo la vista si rilassava il corpo: il caldo si attenuava gradualmente come gradualmente si dissolveva la differenza tra la luce e l’ombra.
Guardare il mare, seduti sulla riva, appagava infine la testa e portava a galla i pensieri. Non sentivo altre necessità se non rimanere fermo, immobile. Una sensazione impagabile con la quale scoprii il potere di alterare lo scorrere del tempo. Meno sono le cose di cui ho bisogno più la giornata si riempie e i minuti si dilatano.
Concedersi un tuffo nel mare aveva il sapore di abbandonarsi alla natura e di essere lontani da tante cose.
Dall’acqua guardavo la riva perché mi accorsi che non avevo mai visto dal mare una spiaggia senza ombrelloni e senza sdrai.
Distinguevo ancora bene la sabbia, chiara e finissima, poco sopra il verde della pineta, reso più scuro dal calare del sole che non permetteva di vedere oltre i primi alberi.
In alto, a sinistra, saliva, nero e puntuale ogni sera, il fumo dell’inceneritore che stonava il contesto genuino di Malika mentre le nuvole basse e l’umidità coloravano il resto del cielo con infinite varietà di grigio.
Ma lo spettacolo più affascinante lo offrivano il buio e il mare. Più tardi infatti, quando anche l’ultima luce del tramonto soccombe al nero della notte africana, si rimaneva stupiti a testa in su guardando un cielo irripetibile.
Solo la luna, che debolmente si rifletteva nell’acqua, ci impediva di farne parte.



24/7 ore 22 circa. Malika.

Siamo stati in acqua fino a pochi minuti fa.
Non basterebbero ore per poter riassumere alcune delle sensazioni provate.
Non capita spesso di fare il bagno a quest’ora. Capita ancora meno di poterlo fare senza doversi preoccupare dell’orario, dei vestiti, dell’orologio incustodito nella borsa o di entrare in casa con i piedi pieni di sabbia.
Pochi pensieri e mente libera.
In silenzio, vicino all’oceano e al buio sotto le stelle, scopro cosa dovrebbe distinguere l’uomo da quella sua copia, sbiadita e passiva, seduta davanti a una scatola che parla.


25/7 A scuola, Malika

Lavorammo a scuola tutta la mattina. Con Antoine e Alfonso finii di dipingere la parete sinistra della scuola. Attorno a noi, ogni tanto, compariva qualche gruppo di ragazzini curiosi, si mettevano all’ombra del muretto e commentavano divertiti il nostro lavoro a bassa voce.
I motivi delle loro risa erano molteplici e giustificati. Io e Antoine eravamo colorati, capelli e viso compresi, dalla vernice gialla che ci colava in testa dai rulli con i quali altri ragazzi dipingevano la parete superiore alla nostra. Ci pioveva in testa. Anche il nostro modo di maneggiare gli arnesi da lavoro, il mio in particolare, era di una dabbenaggine tale da risultare evidente anche agli occhi di un teenager senegalese.
Circa ogni quarto d’ora eravamo costretti ad interrompere il lavoro e cercare riparo vicino al muretto. Nasconderci all’ombra per pochi secondi rappresentava una breve parentesi di sollievo.
Nelle pause entravo nella scuola a cercare bottiglie d’acqua. Le bottiglie con l’etichetta erano le nostre mentre quelle senza etichetta le potevano bere solo i ragazzi senegalesi. Non perché l’acqua loro fosse più buona o per capriccio ma per risaputi motivi di salute.


E’curioso.. Due esseri viventi identici sviluppano una reazione fisica diversa bevendo la stessa acqua. Non ci sono ragioni strutturali: per “abitudine” acquisita loro possono bere quel tipo di acqua senza mostrare “apparentemente” problemi di digestione mentre il mio organismo rigetterebbe immediatamente la medesima acqua.
La prova più evidente a favore della teoria di Darwin o l’esatto opposto??

Il clima tra i ragazzi era molto sereno e cordiale. I gruppi di lavoro, completamente casuali, erano misti tra senegalesi e italiani.
Le attività a scuola non erano regolate né da orologi né da una scaletta definita, ognuno faceva del suo meglio e provava a rendersi utile.
Era la temperatura che poneva fine alle attività.
Quando non riuscivamo più a reperire zone riparate dal sole finivamo per raggrupparci tutti sotto la parete dell’edificio di fronte alla scuola in attesa di avviarci verso casa.
Tornavamo a gruppi, avevamo ormai preso confidenza con il villaggio e conoscevamo le strade.
Come le strade, iniziavamo a familiarizzare anche con gli odori.
All’ora di pranzo, nelle poche centinaia di metri che separavano la scuola da “Casa Renken”, ci capitava di sentirne diversi, alcuni spiacevoli che provenivano dall’ immondizia ammucchiata, altri più neutri ma comunque forti. Gli animali per strada, i cibi, le bancarelle.
Poi il nostro cortile. Dalla cucina proveniva intenso l’odore delle cipolle cucinate, delle spezie semi-sconosciute o del pesce, pazientemente cucinato sulla griglia dalle donne della casa. Ogni profumo, buono o cattivo, definiva spazi e luoghi come farebbe un colore, come farebbe una nota.

martedì 16 marzo 2010

La città dei sogni


In piedi, sul tetto del grattacielo, l'uomo guardava la sua opera. All'orizzonte, un tramonto come se ne vedono pochi, un cielo rosso con nuvole rosa. Il palazzo su cui si trovava era il più alto e proprio al centro della città. La città dei sogni. Voltava lo sguardo a destra e a sinistra, ma non riusciva più a capire dove finisse il cielo e dove iniziassero le fiamme. La città, avvolta in un manto fiammeggiante, stava cadendo. Tutte le case bruciate, tutti i posti sicuri venivano scoperti e distrutti. Gli abitanti scappavano in ogni direzione con in mano le loro cose più preziose. Tutti in preda al panico, pronti a fare qualunque cosa per salvare la propria vita. Come previsto, dalle nuvole giunsero gli angeli, dalle profondità della terra sbucarono i diavoli. Tutti insieme si impegnarono a salvare i superstiti, a spegnere le fiamme, a sorreggere le strutture cadenti. Tutti insieme, disperatamente alleati per cercare di tenere in piedi quel mondo. Era l'incendio più grande della storia. Il fuoco, passando da edificio in edificio, aveva contagiato tutto, proprio come un virus. Inarrestabile come la furia di un dio.
L'uomo, il centro del rogo, guardava affettuosamente a quelle fiamme. Come se fossero la sua progenie, le aveva cullate nel ventre fino a quel momento. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che nutrirle dentro di sè, e adesso che erano uscite, bruciavano l'intero mondo. Fiamme incontenibili che avvolgevano tutto quanto. La cenere vorticava fin in cielo formando colonne nere alte centinaia e centinaia di metri.
Al centro dell'immenso incendio, il piromane era assolutamente neutro, quello che stava accadendo non dipendeva da lui. A dire il vero, era il ritratto della serenità. Guardava con attenzione l'inevitabile fine di un mondo falso, labile come un castello di carte.
Le fiamme lo avvolgevano e niente poteva più incatenarlo, nulla impediva al fuoco di fuoriuscire.
Uno stormo composto da angeli e da diavoli alati gli si avvicinò per tentare di fermarlo. Si abbatterono su di lui con spade e artigli, inutilmente. Le loro ali presero fuoco, le loro spade si sciolsero come burro, gli artigli si ripiegarono all'indietro. Erano torce volanti che si dimenavano, tentando di salvarsi. Caddero tutti come palle infuocate, i corpi carbonizzati dei diavoli non si distinguevano da quegli degli angeli. Alla fin fine quegli esseri erano tutti uguali. Tutti gli abitanti della città dei sogni, gli angeli, i diavoli, perirono nella fiamma scaturita dal ventre dell'uomo. La metropoli si frantumava e le macerie volavano via spezzettanzosi progressivamente in frammenti sempre più piccoli. Le costruzioni si disgregavano completamente pezzo dopo pezzo, salendo e vorticando. Nulla era rimasto, solo detriti che diventavano polvere. Allora il cielo e la terra si fusero, non c'era più cielo e non c'era più terra. Ogni cosa si era ricongiunta, niente era diviso. Il creato unificato in un singolo universo di infinite possibilità.
Lentamente la vista si annacquò e, come vernice che cola, quel panorama apocalittico si sciolse rivelando ciò che nascondeva. L'uomo piangeva come non aveva mai fatto in vita sua. Gli uscivano lacrime che, come acido, scioglievano tutte le bugie.
Per la prima volta in vita sua vide il mondo come era veramente.

lunedì 15 marzo 2010

Fly One Time - Contatto


Stasera molti, rientrando a casa, saranno salutati da cani saltellanti e dalla incontenibile gioia dei loro bimbi.


Troveranno lì ad aspettarli sguardi speciali e mani che riscaldano.


Parleranno con i loro cari di com'è andata la giornata e si addormenteranno nell'abbraccio della notte.


Le stelle usciranno discrete dai loro nascondigli diurni, a poco a poco.


E una di quelle luci, appena più luminosa delle altre, sarà l'ala del mio aereo che passa.


domenica 14 marzo 2010

Quello che vuoi



Puoi fare tutto!

Puoi usare la tua bocca per parlare e i tuoi occhi e le tue orecchie sono in grado di farti percepire l'effetto di quello che hai detto. Anche la faccia e il corpo puoi usarli per esprimerti. Puoi dire qualsiasi cosa, proprio tutto! E puoi dirlo a chiunque desideri.
Le tue gambe possono condurti in qualsiasi posto del mondo e dove non arrivano le tue gambe c'è un mezzo che ti può portare. Puoi correre, saltare, ballare!
Le tue mani sono al tuo completo servizio, puoi usarle per mangiare o afferrare, per picchiare o accarezzare.
Puoi intrecciare rapporti e scoglierli con chi vuoi, dipende tutto da te e da cosa fai.
Puoi studiare, puoi lavorare, puoi viaggiare, puoi giocare, puoi fare qualsiasi cosa tu scelga di fare!
Puoi ridere e puoi piangere. E sei libero di farlo quando e quanto vuoi!
Hai a tua disposizione un sacco di tempo: ore, giorni, mesi, anni! E sei su un pianeta che ha abbastanza spazio per poterti muovere quanto desideri senza che riuscirai mai ad essere stato ovunque.

Puoi - fare - tutto!

E allora, perché non vai a prenderti quello che vuoi?

mercoledì 10 marzo 2010

State fermi, e sorridete!

Fuori dal palazzo l'esercito è arrivato. Si sentono i colpi dei tamburi, si sentono i soldati che urlano, battono i piedi per terra. Che suono possono creare un milione di soldati che all'unisono urlano e saltano pesantemente sul posto? Un terremoto che scuote le interiora e scatena una paura ancestrale che a parole non si può descrivere. Nonostante tutto, i monaci che sono dentro, rimangono fermi. Alcuni stanno seduti, altri sono in piedi. Tutti loro sono ben consapevoli dell'esercito appena fuori le mura. Nessuno è corso a prepararsi per la battaglia, nessuno si è preoccupato di avere con sè un'arma. Per il centinaio di monaci all'interno del palazzo non c'è scampo. Ognuno di loro è intento a fare qualcosa. C'è chi legge, c'è chi si allena nelle arti marziali, c'è chi suona, c'è chi mangia e c'è chi dorme. Nessuno è preoccupato dell'attacco di un milione di soldati, nessuno smette di fare quello che sta facendo per mettersi al riparo o contrattaccare.

All'improvviso l'intero plotone si quieta e, come una tigre prima del balzo, si prepara per l'attacco. Ogni arciere, con una mano tiene l'arco e con l'altra prende una freccia dalla faretra che porta in spalla. Sistema la freccia, alza il tiro per colpire il bersaglio, tende l'arco fino allo spasmo.

L'esercito è compatto e, come un muscolo teso, pronto a colpire. Dentro il palazzo tutti sanno e nessuno fa niente per cercare scampo. Dentro il palazzo i monaci sorridono.

Un urlo squarcia l'aria, è il segnale. Contemporaneamente tutti gli arcieri scoccano le frecce. Un milione di dardi appuntiti prima oscurano il sole e poi si abbattono sulla costruzione di legno. Si sente un rumore simile a quello della pioggia che batte, solo molto, molto più forte. Gran parte delle frecce si conficcano nel legno, molte altre lo attraversano. Per esempio una freccia trapassa il tetto e va a conficcarsi nel petto di un giovane monaco intento a scrivere un suo componimento. Il monaco non spira sul colpo, dolorante si rialza e si rimette a lavorare al suo scritto. Altre due frecce lo colpiscono, una alla gamba e l'altra gli lecera la guancia. Lui tranquillo continua a scrivere. Anche gli altri monaci presenti in quella stessa stanza vengono colpiti dalle frecce, ma non hanno smesso nè di fare quello che facevano nè di sorridere. La vita all'interno del palazzo scorre pacifica come sempre. Nella stanza adiacente, una ventina di monaci sono intenti a consumare il loro pasto. Come un'impietosa pioggia, un nugulo di frecce non lascia scampo a nessuno di loro. Una tempesta di legni acuminati li trapassa da parte a parte in ogni punto del loro corpo. Tutti stanno sorridendo, anche quelli colpiti a morte. Le truppe avanzano e non smettono di scoccare frecce. Dalla terra si alzano nuvole nere che coprono l'intero cielo e che, raggiunto l'apice, precipitano trafiggendo quello che incontrano al termine del loro cammino. Il tetto e i muri esterni sono ricoperti da frecce rimaste conficcate. Visto da lontano il palazzo sembra ricoperto di spine. L'interno invece sembra un'intricata foresta di rovi. Un fiume rosso sangue corre giù per le scale del monastero.

Un altro urlo, l'esercito si ferma. Si sente solo il sibilo del vento e il rumore delle foglie mosse. Il sole torna a splendere, la cascata nel giardino del palazzo continua a scorrere, gli uccellini a cinguettare. L'esercito è andato via e nel palazzo regna la pace.

Lì dentro la pace non ha mai smesso di regnare.

martedì 9 marzo 2010

Fly One Time - Posto 3A


“Bene, un’ultima firma qui”.
Venerdì, fine mese, l’ultimo contratto decisivo.
Target: raggiunto.


Gli stringo la mano e corro verso l’aeroporto.
Ancora un po’ di frenesia e tra poco potrò rilassarmi a bordo.

Bel nome, l’Aeroporto del Salento, il sole il mare e …ovviamente il vento che a momenti fa volare il cappello di quel capitano che si sta scomponendo per non perderlo.
E’ il momento del check-in e inizia il solito trambusto: togli il pc dal trolley, portafoglio, monete, accendino, via la cintura, i gemelli …bip bip… è incredibile come riesco a dimenticare sempre qualcosa… la mia Mont Blanc …
Il rituale di imbarco inizia ad essere un po’ monotono visti i numerosi viaggi, ma si può sopportare considerando l’emozione del volo, che continua a persistere.
Mi avvio al corridoio che porta al musone dell’airbus e due giovani hostess mi accolgono: “Carta di imbarco, prego”. Saluto le hostess e mentre mi dirigo verso il mio posto mi sporgo a curiosare il quadro comandi dove incrocio lo sguardo con il capitano che mi ricambia con un sincero sorriso.
Istintivamente una battuta mi esce spontanea: “Mi sono sempre chiesto come fate a stare in quella cabina così sacrificati?”, “Perché mentre siamo in volo non viene a scoprirlo?”, “Perché no”.
Felice della proposta mi accomodo al mio posto finestrino di business class, altro che il vagone letto delle prime trasferte.


Si spengono le luci e il capitano rassicura i passeggeri della normalità di questa procedura. Come un orsacchiotto un po' traballante dovuto allo sbilanciamento delle ali, l’aereo curva più volte avviandosi verso la pista di decollo.
Come una grossa freccia è lì, pronto a percorrere i 2000 metri che dividono la madre terra dal cielo. I motori rombano per qualche secondo e il loro suono si fa sempre più caldo; come una macchinina con carica a molla tenuta in tensione dal bambino, l’aereo scalpita, e un sordo suono accompagna la brusca accelerazione che mi incolla al sedile.
Mangiandosi la pista raggiunge i 200 km orari, immagino il capitano che con dolcezza avvicina la cloche agli addominali, la ruota anteriore si solleva leggermente dal suolo precedendo di qualche attimo quelle posteriori, con disinvoltura il mostro di metallo si plasma con l’aria e inizia a farne parte ed in quel momento la magia comincia, il mondo sotto di te si allontana, esisti solo tu e i tuoi compagni di viaggio.

La luce si riaccende, il segnale acustico indica che posso slacciare la cintura di sicurezza e lo steward informa che “l’Airbus sul quale state viaggiando è provvisto di sistema gsm per l’utilizzo dei vostri apparecchi cellulari”.
“Pronto?! …Ciao si sono sull’aereo…..Sono in viva voce dall’altra parte ?…perfetto… Ragazzi vorrei complimentarmi con tutti voi per il fantastico successo raggiunto questo mese, sono in aereo, preparatevi che al mio ritorno si festeggia”.

La hostess si avvicina: “Posso consigliarle uno champagne per iniziare a festeggiare?”, “Certo, ma lo farò con una fresca weiss!”.
Scrutando l’oblò sorseggio la mia birra godendomi il tramonto a 20'000 piedi d’altezza.

Intercetto l’hostess e le ricordo l’invito del capitano. Annuisce e si allontana un attimo. La porta della cabina si apre e l’assistente di volo mi fa cenno di avvicinarmi, chino la testa ed entro nella capsula di guida dove il pilota e il suo secondo si scambiano battute, devono essere molto affiatati.


Capitano: “Le piace volare, eh? Gliel'ho letto negli occhi”
Io: “Con la fantasia ne faccio di viaggi, ma quando guardo fuori da quel vetro anche la mente chiede perdono di essere così limitata”
Capitano: “Ci deve essere un filo sottile che collega tutti noi appassionati del volo. Ci riconosciamo a naso.”
Io: ”Credo vada oltre all’oggettività della bellezza di ciò che guardi, quanto alle sensazioni evocate nell’animo di chi è figlio di Icaro”
Capitano: “Vero, per me è sempre stato così. Un magnetico richiamo verso il cielo e verso le sensazioni che ti sa regalare l'essere sospeso in aria, volando veloce sopra la terra ed ammirandola da un punto di vista privilegiato.”
Io: ”Lei non è solo il domatore di questo bestione d'acciaio, ma anche un attento osservatore della realtà delle emozioni!”

Capitano: "Vede laggiù, tra le nuvole?" Ecco la costa delle Marche... Quello spuntone è il parco del Conero. Questo pomeriggio stiamo volando sull'aerovia adriatica costiera. Puntiamo in direzione Nord e, seguendo il piano di volo che ci è stato assegnato dal controllo del traffico aereo, vireremo in direzione Ovest all'altezza di Padova.
Io: “"Che giro strano, non è che dovete aggiornare le mappe del navigatore?!" Capitano: “AHah. Al giorno d'oggi i cieli sono piuttosto affollati e bisogna incanalare ogni aereo su un percorso preciso. E tutto ciò per la nostra sicurezza, ovviamente. Non si preoccupi viaggiando con questo vento di 15 nodi in coda posso dirle che arriveremo a Torino con qualche minuto d'anticipo. Potrà cenare ad un orario decente..."

Mi congedo da lui salutandolo come se ci conoscessimo da sempre, sempre più conscio di essere in buone mani.

La spia luminosa mi invita a riallacciare le cinture e l’airbus inizia la procedura di atterraggio. Leggero si stabilisce sulla rotta che lo porterà alla pista, il carrello si abbassa e le case sono sempre più vicine. Un tocco leggero e le ruote sull’asfalto mi riportano a terra.
Applauso più che meritato.

Attraverso il terminal gremito di sconosciuti trascinando il trolley, quasi invisibile tra le persone in attesa del parente o dell’amico erasmus che da troppo tempo non vedono.

Fuori c’è lei che mi attende, con un dolce bacio mi saluta riportando la mia testa tra le nuvole…

lunedì 8 marzo 2010

Fly One Time - Tra le nuvole

Scendo dal taxi e vengo investito da un'impetuosa folata di vento che per poco non mi fa volare via il cappello.
Luce, acqua, aria: da queste parti ne hanno da vendere.

Le porte automatiche scorrono di fronte a me e, sfilando gli occhiali da sole, entro nel moderno terminal dell'Aeroporto del Salento Papola – Casale.
Procedo a passo spedito verso la PP Lounge dove trovo ad attendermi il primo ufficiale e gli assistenti di volo, pronti a partire.
Oggi lavorerò con un ottimo equipaggio, la giornata volge al meglio.


Ci muoviamo in gruppo verso l'imbarco e passiamo tra due ali di passeggeri in attesa al gate 2.
Ogni volta è come un cerimoniale: l'arrivo al banco, il controllo del tesserino da parte dell'hostess di terra, gli sguardi indagatori dei passeggeri.
Consapevole del ruolo che rivesto, in genere dispenso intorno a me sorrisi distensivi. Oggi c'è allegria tra i membri dell'equipaggio e sembra che questo influisca positivamente sui nostri passeggeri, a giudicare da come ci guardano...
Passo il gate e vengo accolto dalle interessanti prospettive del finger che porta all'aereo.


La moderna cabina dell'Airbus A320: compatta, ipertecnologica, un vero gioiello ai miei occhi. La condividerò con Massimo, primo ufficiale della PP International Airlines da circa un anno. Ogni volo aereo di medio o lungo raggio comporta dei lunghi periodi di “vigile attesa” mentre si vola stabilmente verso la meta: ecco, quando si vola con un copilota come Massimo non si corre il rischio di annoiarsi. Sarà il suo sangue toscano, fatto sta che volare con lui è uno spasso.

...
“Luci di navigazione?”
“Accese”
“Altimetro ed indicatore di rotta?”
“Impostati”
“Radio e strumentazione avionica?”
“Impostati per la partenza”
“Trim?”
“Impostato per il decollo”
“Checklist pre-rullaggio completata, grazie Massimo”.

E' in corso l'imbarco ed i passeggeri fanno il loro ingresso sull'aereo con un flusso ordinato e costante. Attraverso la porta aperta della cabina sento le loro voci: uomini, donne, bambini.
Storie in divenire, vite da scrivere.
Si affidano a noi per giungere alla loro meta. Saremo all'altezza delle loro aspettative.


Mi giro a guardare a che punto sia giunta la procedura d'imbarco ed incontro lo sguardo di un giovane passeggero in giacca e cravatta. Lo saluto con un sorriso e, scambiando due battute, noto nelle sue parole un innocente interesse per il volo. Lo invito a fare un salto in cabina quando saremo in fase di crociera.

Otteniamo dalla Torre di controllo di Brindisi l'autorizzazione al rullaggio fino alla pista 32. Mentre l'aereo procede docilmente sui suoi grossi pneumatici, mosso dalla lieve spinta delle turbine, Massimo spegne le luci della cabina ed io ne approfitto per presentarmi brevemente ai nostri passeggeri.

Motori alla massima potenza.
Rilascio i freni e l'aereo comincia una rapida accelerazione.
“130 nodi... 140 nodi... V1. Rotazione”.
Richiamo dolcemente la cloche e porto il muso ad un angolo di salita di 15 gradi.
La magia si ripete.



L'Airbus solca le nubi e sale con vigore verso i 20'000 piedi, quota fissata per il volo di crociera lungo la rotta 330. Io ed il primo ufficiale completiamo i protocolli radio e di navigazione di questa fase del volo e, dopo aver verificato la checklist per il volo in assetto stabile, iniziamo una stimolante discussione sullo sfacelo politico del nostro Paese. Il suo pungente sarcasmo tipicamente toscano non risparmia nessun componente del bestiario italiano.

Toc toc.
Un'assistente di volo apre la porta: “Capitano, c'è un passeggero che dice di essere stato invitato in cabina. Lo faccio entrare?”
“Certo! Lo aspettavo. Eccolo, Massimo. Ora cerca di ricomporti un po', ok? Allora...
Le piace volare, eh? Gliel'ho letto negli occhi”.


La porta della cabina si richiude dietro di lui. Una breve ma piacevole chiacchierata.
Passeggeri come questo gentile ed elegante uomo d'affari ti danno soddisfazione. Appassionati del volo, nonostante i ritmi incalzanti del loro lavoro riescono ad apprezzare la bellezza del viaggio in sé e non ne dimenticano il valore.


Il cielo è completamente in fiamme.
Lo spettacolo è lì davanti ai nostri occhi. In silenzio lo guardiamo.


La poesia delle nuvole mi lascia a bocca aperta.
Soffici, delicate, imponenti, sottili...
Sempre nuove, sempre in movimento, hanno il ritmo e la forza della vita.

A volte intimoriscono e dispiace andare a disturbarle.
A volte sono una fitta barriera che vuoi solo superare per arrivare, finalmente, al blu, al sole.
Altre volte, ed è lì che diventano straordinarie, sono una meravigliosa cornice che arricchisce, dà colore e fa volare la fantasia, il sogno, l'amore.


“Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio.

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri.

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore.

Vengono
vanno
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere
più
il posto dove stai.

Vanno

vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono lì tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.”


Il cielo su Torino è completamente terso. La luna illumina il nostro percorso verso le luci verdi, bianche e rosse di Caselle.
L'avvicinamento ILS di precisione ci porta a toccare morbidamente la pista 36. Oltre la porta della cabina di pilotaggio percepisco l'apprezzamento dei passeggeri per il volo appena concluso.

Rulliamo verso il terminal, infine lasciamo che il finger venga agganciato.
Mentre Massimo completa le procedure di spegnimento dell'aereo, indosso la giacca ed esco dalla cabina per salutare i passeggeri che stanno uscendo dal portellone anteriore.


Sorrido.
“Mi auguro di ospitarla nuovamente nella mia cabina, è stato un piacere portarla a destinazione.”

venerdì 5 marzo 2010

All is full of love

Corde che si allentano, catene che piano piano si sciolgono. I tentacoli che così tenacemente sono attaccati, scivolano di dosso e perdono la presa. Arrancano come su una superficie oleosa. A faccia in giù, legati da convinzioni e paure non si può precipitare. Ma qui, tutto sta già scivolando. In questa lenta ma vertiginosa caduta non senti nient'altro che cocente dolore. Esplosioni addominali che bruciano e curano allo stesso tempo. Questa, è una caduta silenziosa verso un fondo che non si vede, che non è importante vedere. Di tutta la faccenda, è interessante notare l'intensità del fuoco che sta bruciando dall'interno, la sua forza. L'altra cosa interessante è che non fai niente per spegnerlo. La fiamma imperitura della tristezza che non hai mai accettato ti sta bruciando. Non la fermi perchè sai che questo è un momento prezioso, è l'unico momento che conta davvero. E' il tuo momento. Poi, vicino alla fiamma vedi un'ombra, un essere che ti si rivolge con sguardo malizioso, malvagio. Non lo vedi bene nell'oscurità, ma sai che è così. Così inizia a soffiare sul fuoco, e tu lo lasci fare fino a quando ha fiato. Alimentata, la fiamma si ingrandisce, il dolore aumenta, esplode. Inspiegabilmente guardi il mostro e non provi odio nei suoi confronti. Anzi, lo proteggi fino a quando non riesce più a soffiare. Lui ti provoca dolore e tu non fai altro che abbracciarlo amorevolmente. Quando ha finito, stanco e senza più respiro, il mostro si gira e, nel riverbero del fuoco, vedi chiaramente il suo viso. Per te è come specchiarti. Nel momento in cui gli sguardi si incontrano lui va in fumo. Rimani solo tu. Non c'è neanche più il dolore. Sei solo ma non ti senti solo. Non sei il principio o la fine di nulla. Sei nel bel mezzo di tutto. Come se niente fosse, la discesa nelle profondità del nulla continua. Piano piano un sorriso prende forma sulle labbra, un sorriso che niente e nessuno potrà mai toglierti.

giovedì 4 marzo 2010

Ombre - Ora di lezione

...spiegava:
imbarazzata,
imbarazzante,
fortunatamente ignorata come un gelato caduto da chissà dove sul selciato.
Cercava di stimolare intellettualmente i nostri gelatinosi cervelli,
inerti meduse spiaggiate
tormentate da un bimbo con il bastoncino
di un ghiacciolo.

mercoledì 3 marzo 2010

Giro di vento

“E’ possibile realizzare un sogno. Basta crederci, e continuare a crederci”
Luisa: “E invece com’è andata?”
“Poco alla volta ci siamo fatti schiacciare dal peso delle cose come sono. Dalla necessità, dalla ripetizione. Dalla mancanza di sorprese. Siamo entrati in un circuito chiuso di gesti e sensazioni già conosciuti.”
Luisa: “Forse è inevitabile, no?” La imbarazza mettersi sul suo stesso piano; ma non può fare a meno di chiedersi se esista davvero un modo di liberarsi dal peso e della necessità della ripetizione, raggiungere un territorio dove tutto fluisce allo stato puro e genera continue sorprese. Si chiede quanto ci si possa rimanere, ammesso di riuscire mai ad arrivarci.
“L’inevitabile era una delle prime condizioni che volevamo eliminare per sempre dalle nostre vite.”
Luisa: “Un po’ ci siete riusciti, almeno in parte. Mi sembra che vi siate liberati di un bel po’ di cose che per quasi tutti non sono proprio opzionali.”
“Tipo?”
“Gli spostamenti, le telefonate, i vestiti, gli accessori, i gesti, i toni e perfino le parole. Se solo potessi assistere a una mia giornata media, te ne renderesti conto.”
“Com’è una tua giornata media?”
“Non voglio neanche pensarci.”
“Dammi un’idea, solo un’idea.”
Luisa sbuffa, poi dice: “Un continuo zigzagare tra mille cose, a tratti velocemente, a tratti spaventosamente lentamente.”
“E ci sono cose che ti interessano?” dice Lauro.
“Cinquanta e cinquanta”
“A parte l’interesse, ci sono cose che ti piacciono?“
“Certo che ce ne sono” dice Luisa. Pensa che non avrebbe dovuto lasciarlo cominciare a far domande; dice: “ Cos’è, hai bisogno di rinnovare il tuo catalogo di miserie del mondo civilizzato?”
“No, voglio solo sapere in quale proporzione sono le cose che ti piacciono con quelle che fai solo perché le devi fare. Non ne hai una minima idea?”
“No. Ma sono fatti miei, ti pare? ”
“Chiedevo soltanto.”
Luisa guarda scorrere l’acqua: pensa che sia un fiume minuscolo, imperfetto quanto i due cavalli con qui sono arrivati qua e i campi coltivati e l’orto, le case e la comunità di superstiti in cui vive. Questa consapevolezza produce in lei una strana miscela di distacco e compassione, libertà dello sguardo di Lauro a due passi da lei, ma anche dai giudizi del mondo. Dice: “Sarà di uno a cento, la proporzione. Forse di uno a mille. E anche le cose che mi piacciono probabilmente sono surrogate di altre cose che non ho.” – (Andrea De Carlo, Giro di vento)

Un piccolo promemoria, perché la vita di nessuno si trasformi in un surrogato di un sogno, ma nella realizzazione di ciò che piace. Perché il peso delle cose, la ripetizione e la mancanza di sorprese non induca a cadere in una trappola pericolosa che ci tende il mondo che ci circonda, un mondo che ha smesso di sognare …
E poi “bastano pensieri felici … sono quelli a portarti in aria”, e solo cosi “vivere può essere una grandiosa avventura”.

martedì 2 marzo 2010

Tutti a scuola!!

Fatevi un favore, e fatelo anche a me. Prendete tutto quello che pensate di sapere e buttatelo. Cestinatelo. So che vi farà male sentirlo ma..... quello che pensate di conoscere in realtà non lo conoscete. Voi non sapete niente. Qualcuno doveva pur dirvelo, per il vostro bene. Da questo momento andrete ad una nuova scuola. Questa scuola non ha aule, non è come tutte quelle in cui siete stati fin ora, dove si lavora per imparare. E' .... l'esatto contrario! In questa scuola ci si impegna per disimparare, per dimenticare, per distruggere il sapere! Cominciamo la lezione. Alzi la mano chi pensa di essere una brava persona. Bene, bene, vedo delle mani alzate e anche delle facce compiaciute. Sorrisetti, petti gonfi. Tutti voi che avete alzato la mano siete degli illusi. Ve lo dico con affetto, non ve la prendete. Chiedetevi piuttosto perchè vi state guardando intorno spauriti e perchè la vostra faccia è improvvisamente diventata una maschera di cera. Perchè vi siete sgonfiati? Chiedetevi perchè e in quale maniera siete giunti al punto di credere che siete buoni. Chi è che ve l'ha fatto credere? Come avete potuto credergli? Alzi la mano adesso chi pensa di non essere una brava persona. Uuuuhhh, quante mani alzate!! Ragazzi, voi siete più sciocchi e illusi di quelli che si credono buoni. Tutti quelli che non hanno alzato la mano in nessuno dei due casi possono uscire, qui non impareranno nulla di nuovo. Voi che siete rimasti, vi sentite feriti, colpiti, come se vi avessi aggredito fisicamente. Il paradosso sta tutto qui, perchè io non ho aggredito voi, ho aggredito il vostro ego. Voi non siete il vostro ego. Il vostro ego per vendetta ha ferito voi, per esempio, con una fitta allo stomaco. Appena vi accorgete che pensate di sapere qualcosa, per il vostro bene fermatevi, prendete un grosso coltellaccio mentale e stroncate sul nascere questa vostra stupida convinzione. Ammazzatevi, ma solo un pochino. Prendete tutte le idee che vi siete fatti su voi stessi, sulla vostra famiglia, sui vostri amici, su quello che scrivete, e fatele fuori. Vi porteranno di sicuro su un sentiero fatto di miseria e sofferenza. Se non volete farlo per voi fatelo per me, ok?

Pensate che sul lavoro state facendo un buon lavoro? Per piacere, non siate arroganti e presuntuosi.

Credete che il vostro uomo sia l'essere più dolce e sensibile del pianeta? Seeee, come no....ahahahahah!!

Siete davvero convinte di amarlo e che lui ami voi?

Siete convinti che se al governo ci fosse quel partito politico, forse forse il paese starebbe meglio e voi non vi arrabbiereste così spesso? .........

L'unico vero peccato che si possa commettere è quello di credere di sapere qualcosa.

Pensate di aver bisogno dell'amore di qualcuno per continuare a vivere? Sbagliato.

Pensate di non aver bisogno dell'amore di qualcuno per continuare a vivere? Sbagliato, stupidi imbecilli.

Per oggi abbiamo finito qui, e concludo chiedendovi:

pensate di aver capito quello che ho detto fin ora?

lunedì 1 marzo 2010

Fly One Time - Mettere le ali


Amo il mio lavoro perchè adoro viaggiare.
Quindi se, come oggi, mi trovo a bordo di un aereo e di fronte a me non c'è una bizzarra distesa di strumenti e monitor ma semplicemente il colorato schienale di un sedile, soddisfatto mi guardo intorno e mi godo questo breve volo.
Da passeggero.


Mentre il 737-400 della PP International Airlines si solleva leggero dalla pista 26 sinistra di London Gatwick ed i primi pallidi raggi di sole iniziano a filtrare oltre la densa coltre di nubi, cerco di interpretare pensieri e stati d'animo delle persone che mi circondano.
So per esperienza che per la maggior parte di loro il volo appena intrapreso non significa altro che due ore di ansia o noia da qui alla nostra destinazione. Per me non è così.


Non ho mai pensato l'aereo come un banale mezzo di trasporto. Il volo conserva un fascino ed una pura bellezza in sé e, per quanto l'abitudine a salire oltre i diecimila metri possa far correre il rischio di abbandonare questi romantici presupposti, per me è ancora così. E' vero, sono un po' di parte...
Ma a tratti mi rendo conto di aver ancora gli occhi di quel bambino che trent'anni fa si spalmava sul finestrino e tempestava di domande genitori, hostess, sconosciuti.


Siamo sopra la Manica mentre il pavimento di nuvole che stiamo sorvolando viene progressivamente incendiato dalla luce del sole che si alza ad Oriente. L'atmosfera nella cabina passeggeri è tranquilla e rilassata. C'è chi dorme, chi legge il Times, chi lavora al suo laptop.

Con gli auricolari nelle orecchie, guardo fuori dal finestrino e lascio che i pensieri scorrano accompagnati dal soffice tocco di un pianoforte e dal penetrante battito di un contrabbasso...
Musica per il mio cuore.
Mi prendo tutto il tempo necessario, allungo le gambe, mi rilasso. Ascolto anche due, tre volte la stessa canzone, mi illumino alla luce delle sue parole.


Mentre l'alba lentamente stende le sue ali vengo pervaso da una dolcissima emozione. Sorrido. In questo sorriso ci sei tu. Ed i tuoi occhi puri e felici.

Quello che ti darò sarà per sempre tuo, custodiscilo nelle tue manine. Conserva ogni giorno i tuoi piccoli e grandi sogni, la fantasia dei tuoi giochi, la spontaneità dei tuoi slanci, l'eterna felicità dei tuoi occhi.


La voce si fa, se possibile, ancora più morbida, gli arpeggi accompagnano perfettamente la progressione dei miei pensieri nei freddi cieli della Francia.

I ricordi più dolci non si fanno desiderare, sono pronti a comparire improvvisamente dietro ad una nuvola di panna.
Ti vedo sorridere, sei lì.


Tutto questo mi porta più vicino a te con una velocità incredibilmente maggiore di quella a cui viaggia questo aereo.
Già, torno indietro da dove sono venuto. E mi rendo conto che, in fondo, è vera felicità quando si hanno le ali per volare.

A Casa.