Gli altri ragazzi tornarono a casa più tardi di noi.
Insabbiati, sudati e sporchi di vernice.
Non entrarono neanche in casa: l’oceano a portata di mano offriva all’ora del tramonto un’ideale opportunità di ristoro. Nei giorni successivi, la maggior parte di noi prese l’abitudine di fare il bagno prima di cena.
A quell’ora il sole era ancora abbastanza alto ma prima di scomparire si nascondeva a lungo tra le nuvole basse dell’orizzonte. La costa si dipingeva di colori più caldi dando sollievo alla vista sfinita dalla violenta intensità della luce diurna.
Dopo la vista si rilassava il corpo: il caldo si attenuava gradualmente come gradualmente si dissolveva la differenza tra la luce e l’ombra.
Guardare il mare, seduti sulla riva, appagava infine la testa e portava a galla i pensieri. Non sentivo altre necessità se non rimanere fermo, immobile. Una sensazione impagabile con la quale scoprii il potere di alterare lo scorrere del tempo. Meno sono le cose di cui ho bisogno più la giornata si riempie e i minuti si dilatano.
Concedersi un tuffo nel mare aveva il sapore di abbandonarsi alla natura e di essere lontani da tante cose.
Dall’acqua guardavo la riva perché mi accorsi che non avevo mai visto dal mare una spiaggia senza ombrelloni e senza sdrai.
Distinguevo ancora bene la sabbia, chiara e finissima, poco sopra il verde della pineta, reso più scuro dal calare del sole che non permetteva di vedere oltre i primi alberi.
In alto, a sinistra, saliva, nero e puntuale ogni sera, il fumo dell’inceneritore che stonava il contesto genuino di Malika mentre le nuvole basse e l’umidità coloravano il resto del cielo con infinite varietà di grigio.
Ma lo spettacolo più affascinante lo offrivano il buio e il mare. Più tardi infatti, quando anche l’ultima luce del tramonto soccombe al nero della notte africana, si rimaneva stupiti a testa in su guardando un cielo irripetibile.
Solo la luna, che debolmente si rifletteva nell’acqua, ci impediva di farne parte.
24/7 ore 22 circa. Malika.
Siamo stati in acqua fino a pochi minuti fa.
Non basterebbero ore per poter riassumere alcune delle sensazioni provate.
Non capita spesso di fare il bagno a quest’ora. Capita ancora meno di poterlo fare senza doversi preoccupare dell’orario, dei vestiti, dell’orologio incustodito nella borsa o di entrare in casa con i piedi pieni di sabbia.
Pochi pensieri e mente libera.
In silenzio, vicino all’oceano e al buio sotto le stelle, scopro cosa dovrebbe distinguere l’uomo da quella sua copia, sbiadita e passiva, seduta davanti a una scatola che parla.
25/7 A scuola, Malika
Lavorammo a scuola tutta la mattina. Con Antoine e Alfonso finii di dipingere la parete sinistra della scuola. Attorno a noi, ogni tanto, compariva qualche gruppo di ragazzini curiosi, si mettevano all’ombra del muretto e commentavano divertiti il nostro lavoro a bassa voce.
I motivi delle loro risa erano molteplici e giustificati. Io e Antoine eravamo colorati, capelli e viso compresi, dalla vernice gialla che ci colava in testa dai rulli con i quali altri ragazzi dipingevano la parete superiore alla nostra. Ci pioveva in testa. Anche il nostro modo di maneggiare gli arnesi da lavoro, il mio in particolare, era di una dabbenaggine tale da risultare evidente anche agli occhi di un teenager senegalese.
Circa ogni quarto d’ora eravamo costretti ad interrompere il lavoro e cercare riparo vicino al muretto. Nasconderci all’ombra per pochi secondi rappresentava una breve parentesi di sollievo.
Nelle pause entravo nella scuola a cercare bottiglie d’acqua. Le bottiglie con l’etichetta erano le nostre mentre quelle senza etichetta le potevano bere solo i ragazzi senegalesi. Non perché l’acqua loro fosse più buona o per capriccio ma per risaputi motivi di salute.
E’curioso.. Due esseri viventi identici sviluppano una reazione fisica diversa bevendo la stessa acqua. Non ci sono ragioni strutturali: per “abitudine” acquisita loro possono bere quel tipo di acqua senza mostrare “apparentemente” problemi di digestione mentre il mio organismo rigetterebbe immediatamente la medesima acqua.
La prova più evidente a favore della teoria di Darwin o l’esatto opposto??
Il clima tra i ragazzi era molto sereno e cordiale. I gruppi di lavoro, completamente casuali, erano misti tra senegalesi e italiani.
Le attività a scuola non erano regolate né da orologi né da una scaletta definita, ognuno faceva del suo meglio e provava a rendersi utile.
Era la temperatura che poneva fine alle attività.
Q
uando non riuscivamo più a reperire zone riparate dal sole finivamo per raggrupparci tutti sotto la parete dell’edificio di fronte alla scuola in attesa di avviarci verso casa.
Tornavamo a gruppi, avevamo ormai preso confidenza con il villaggio e conoscevamo le strade.
Come le strade, iniziavamo a familiarizzare anche con gli odori.
All’ora di pranzo, nelle poche centinaia di metri che separavano la scuola da “Casa Renken”, ci capitava di sentirne diversi, alcuni spiacevoli che provenivano dall’ immondizia ammucchiata, altri più neutri ma comunque forti. Gli animali per strada, i cibi, le bancarelle.
Poi il nostro cortile. Dalla cucina proveniva intenso l’odore delle cipolle cucinate, delle spezie semi-sconosciute o del pesce, pazientemente cucinato sulla griglia dalle donne della casa. Ogni profumo, buono o cattivo, definiva spazi e luoghi come farebbe un colore, come farebbe una nota.