What if I say you're not like the others?


Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!

sabato 27 febbraio 2010

Ombre - Domenica

Il Sole di Domenica tramonta dalla mattina.
Affoga nella sua stessa luce rossa
come un moscerino che si dibatte nel succo d'arancia.
Il pomeriggio passa
come uno sbadiglio,
ma ti lascia il tempo di pensare che, dopotutto, sta succedendo anche a te.

giovedì 25 febbraio 2010

Racconto del monaco

Intro

Non so se è mai capitato anche a voi, ma c’è una parte di camera mia che non ha subito cambiamenti da circa 10 anni, l’ordine delle cose è rimasto tale e forse anche la polvere è la medesima.

Bene con estremo piacere oggi ho trovato un floppy, si proprio lui, l’antenato della chiavetta USB.

Certo lo stupore non è tanto per l’oggetto, più obsoleto che d’antiquariato, insomma non paragonabile al ritrovamento di un vinile messo da parte per numerosi anni, quanto per il titolo riportato sullo stesso.

Bene al suo interno, con mio enorme piacere, era rimasto un file salvato dal tempo delle superiori.

Il file contiene un racconto fatto per un lavoro di Lettere, lavoro che presi molto a cuore.

Rileggerlo mi riempie il cuore in quanto molto introspettivo.

Chi avrebbe mai detto che potesse diventare un point particle...

…………………………………

Camminavo spaesato, cercando una risposta al mio dubbio, forse nelle cose che mi circondavano, o nelle persone che mi incrociavano; il sole mi illuminava il viso, ma avevo bisogno di ben altra illuminazione.

La mia testa era tempestata da domande, problemi, concetti, che non riuscivo a capire; è strano come ad un certo punto della vita, ti accorgi come tante cose siano inspiegate, la voglia di sapere è tanta, e il pensiero di alcuni dubbi ti rende incapace di pensare ad altro.

Avevo bisogno di parlare con qualcuno, dovevo sapere, dovevo riempire il mio vuoto, proprio come riempio queste valigie.

E così camminavo, per quella strada che tante volte avevo percorso, incurante di tutto, verso il monastero che mi ha visto crescere.

Sapevo di poter contare su padre Silvestro, più che un monaco è un amico, con cui parlare, confidarsi e chiedere consiglio, ma questa volta sarebbe stato diverso, la sua risposta avrebbe cambiato qualcosa in me, il modo di pensare, di agire e di considerare le cose.

Stavo per incontrarlo, dovevo solo varcare l’ingresso della chiesa; quanti ricordi, proprio qui ho avuto la mia prima lezione con Silvestro, circa tre anni fa: ”Il primo incontro che faremo nell’entrare sarà con il crocifisso monumentale, ecco lo vedi, è in bronzo, e indica il contenuto immediato e ultimo della fede”.

“Condoglianze Ralf, mi dispiace tanto per tua madre”, “Grazie Giovanni. Sai dove posso trovare Silvestro?”, “C’è scuola adesso, due giorni che manchi e ti sei già dimenticato gli orari!? Dovrai aspettare il pranzo”.

Iniziai a passeggiare un po’, aspettando l’arrivo del mio maestro; ah Monte Fano, Silvestro non poteva scegliere un posto migliore, qualcuno ha scritto che aveva disposto il monastero come un giardino in una terra solitaria ed inaccessibile. Vedendovi riprodotti i fiori dei novizi, piantati gli alberi dei proficienti e ben fondate le piantagioni dei perfetti, godeva dell’abbondanza dei frutti delle virtù e s’immergeva nella contemplazione della divinità…i vecchi dimenticando l’età, partecipavano agli uffici con giovanile prontezza. I giovani, tenendo a freno l’esuberanza giovanile, prendevano parte al culto divino con senile serietà. E pensare che se non fosse per Filippo, il suo primo discepolo, ora sarebbe ancora nella Grotta Fucile, ma devo anche ammettere che è stando lì che è diventato quello che è. Qua è il paradiso, l’occhio spazia lontano per vallate e colline: l’alta valle dell’Esimo, la valle del Giano, e tutt’intorno una chiostra di monti. Verso oriente la catena dei Preappennini con le montagne della Rossa, la gola di Frasassi con le sue famose grotte, la vetta a piramide del San Vicino; a ponente gli Appennini: il passo di Fossato, il monte Cucco, il monte Catria, e verso sud le cime dei monti Sibillini.

I novizi escono pian piano dall’aula, con le facce stanche, ed ecco lui, dietro a tutti, ma solo nella fila…”Silvestro! Silvestro, ho bisogno di parlarti”, ”Dimmi figliolo, stai bene? Tuo padre come sta? Gli sei stato vicino?”, “Si, ho fatto il possibile per sollevargli il morale, ah povera mia madre, era vecchia”, “Mi dispiace proprio; ma dimmi, come mai mi cerchi con tanta fretta, cosa succede, è per tua madre?”, “No, cioè, si e no, ecco il problema è scaturito da questo…Silvestro, il problema è che ho iniziato a pensare, ho la mente chiusa, aprimela…un po’ alla volta inizio a preoccuparmi delle cose, a essere infelice di me stesso, a essere scontento…a non capire la vita, a pormi problemi, perché esistiamo, qual è il nostro scopo… non so se comprendi le mie parole…forse sono un po’ confuso nell’esporti il problema, ma è la stessa confusione che ho in testa…Silvestro cosa devo fare per ottenere la felicità?”, “Ralf, queste tue domande mi turbano, la conosci meglio di me quella parab…” “dai tutto quello che hai ai poveri, e seguimi?! Sì lo so, ma non…” “Tu sei molto confuso ragazzo mio, eppure non è un giorno che sei qui in monastero!” “Aiuto Silvestro, dai una risposta ai miei quesiti, non posso continuare così, andando avanti senza uno scopo preciso, o forse c’è e non capisco qual è, o non ne sono soddisfatto” “Hai ormai diciotto anni, e sono tre anni che sei qua, sei uno dei migliori, non ho nulla da insegnarti…devi sapere che alcune cose non si possono spiegare se non le si vive in prima persona; devi stare un po’ da solo, per un po’ di tempo” “Come facevi tu all’inizio” “ Più o meno, d'altronde siamo benedettini, solitari austeri e semplici; però voglio che tu faccia un viaggio, che tu abbia un contatto con altre persone di culture e ceti diversi” “Ma a che serve!” “Da quando si risponde al proprio maestro…fa’ ciò che ti ho detto, tu sei del nord, vero? Germania, se non ricordo male, vacci, ti farà bene anche rivedere posti che una volta facevano parte della tua vita, torna a Roma da tuo padre, salutalo e poi parti. Hai bisogno di crescere, di capire la vita, non importa la strada che farai, la mano del Creatore ha sparso qua e là nel mondo isole di silenzio e di pace perché fossero per gli uomini quasi altrettante oasi dello spirito bisognoso di sostare di quando in quando nella corsa della vita; apprendi tutto quello che senti, ricorda: anche il più inetto può insegnarti qualcosa, e poi, come un mosaico, metti tutto insieme…” “E poi?” “E poi vedrai tu stesso…? Ora ti saluto, vado a ritirarmi nella mia camera, fa buon viaggio, che il signore sia con te”

Che il signore sia con me, non ho mai pensato veramente che il signore mi segue in tutto ciò che faccio, cioè lo so, però sul momento non mi passa neanche per la mente.

Sto per partire, saluto mio padre, mi faccio lasciare un po’ di soldi; quando inizieranno a mancarmi me li guadagnerò, con qualche lavoro di fortuna, altrimenti digiunerò, in fondo Gesù è stato quaranta giorni nel deserto, tra l’altro anche tentato….

“Scrivo queste righe per rilassarmi un po’, sono stanco, e triste, spero che quando rileggerò questo foglio avrò trovato la felicità, nel frattempo la cercherò, in chi e in cosa non lo so, però mi impegnerò, forse sono io, forse sono troppo chiuso, e viaggio con i paraocchi, non vedo ciò che mi circonda, vedo solo ciò che voglio io, devo ancora crescere, soprattutto di testa, devo maturare. Vedo in me tutti i difetti, ora basta devo andare, non posso spendere tempo in chiacchiere…guidami o signore nel cammino della mia vita”

Ralf 12 novembre 1251

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Sono steso su questo prato, creazione di Dio, come tutto ciò che mi circonda, filo d’erba in bocca, osservo il cielo terso, e il paesaggio che si presenta davanti a me, le montagne innevate, le pecore che pascolano, i bambini che giocano, i cani che corrono…siamo all’incirca al 20-21 luglio 1253, ho viaggiato, e ho appreso molto, e guardando questo paesaggio posso finalmente dire che lo scopo della vita è viverla, con i suoi alti e bassi, amando Dio, avendo solo lui nella propria vita, aggrappandosi a lui, perché non ci verrà mai a mancare.

Quello che ho imparato è che siamo materialisti, non riusciamo a trarre felicità che dalle cose materiali, ed io ero uno dei primi fra questi, mi sono abbandonato così al vino, a volte al gioco, ma si sa, si impara dagli errori, ed è proprio quello che voleva il mio maestro, quando decise di mandarmi in viaggio, voleva che sbagliassi, per capire e correggermi.

Ho avuto modo di parlare con una prostituta, che mi ha insegnato ad essere libero, con un falegname, che mi ha mostrato le meraviglie del creato, per saperlo apprezzare.

Ho avuto una lunga discussione anche con un monaco, il quale mi ha istruito sulla dottrina agostiniana, la cui teoria dei rapporti tra ragione è fede è sintetizzata nella duplice formula crede ut intelligas (credi per capire) e intellige ut credas (capisci per credere); la fede ci indica il cammino da seguire, diceva S.Agostino. Io mi lamentavo perché pensavo, ma facendolo non mi ero accorto che stavo maturando, riflettendo su determinati problemi e cercando di risolverli non facevo altro che essere un uomo, e mi staccavo, senza accorgermene, dall’ingenuità giovanile, ed è per questo motivo che sono entrato in crisi, chiamiamola pure spirituale. Le nozioni apprese in questi anni di noviziato erano solo acqua che bagnava il mio cervello impermeabile, anziché innaffiarlo di sapere, sapevo tutto, ma non ne ero convinto, erano solo frasi ripetute più volte senza che mi toccassero.

Un ragazzino un giorno mi ha chiesto “mi hanno detto che per entrare in convento uno deve sapere che è chiamato alla lotta…ma contro di chi?”, non mi ero mai posto una domanda del genere, nessuno mi aveva mai detto niente, lotta!? Va bene bisogna amare Dio, non avere altro al di fuori di lui, ma non la chiamerei lotta!? E invece si, noi dobbiamo lottare, contro le passioni, i propri vizi, o come direbbe San Paolo contro “l’uomo vecchio”. Se all’inizio può risultare duro, man mano che si progredisce, si aprono spazi nuovi che non avremmo mai sospettato di possedere in noi stessi e…”il cuore si dilata”!

Sta a noi decidere la propria vita, scegliendo cosa è giusto e cosa è sbagliato, e Dio ci ha dato la possibilità di scegliere.

martedì 23 febbraio 2010

Osservando il cielo e toccando la terra, Ami, intensamente ami, il frutto e il seme della notte.

Il tram si avvicina alla fermata. Lento.
Le rotaie, sporcate da un buon giorno di brina, accarezzano la frenata stanca, senza condizionarla: per arrestarsi non ha bisogno di essere preso di forza. Solo mani, mani dalle unghie corte che modellano la creta.

Scorrono le porte all'improvviso. Il gelo del mattino si fa lama da carta che apre le buste, e riporta alla vita parole dalle sillabe ingiallite.
La luce del vagone, che sveglia gli occhi assonnati, ha uno strano effetto di me... Mi penetra.

Non c'è rumore alcuno che possa sovrastare il ticchettio regolare del mio cuore.

Come il coccodrillo di Peter Pan, arrivi puntuale e invadi; rosicchi con i denti aguzzi le porte della percezione, t'impossesi del centro, e io muoio lacerata dai vetri di un passato in letargo.

Equilibrio e Saggezza si allontanano, ma continuano a osservare la scena: Follia mischia le carte, spazza le foglie, inaridisce i fiumi dopo averli esortati ad straripare. Mi dice che è finita, che non c'è nulla da salvare, e io mi sgretolo sotto la furia delle sue leggi, lontane dalla pazienza e dalle convinzioni. Sono senza respiro. Non respiro. Soffoco.

''Non era la retta via...'' dice Follia, interrompendo il buio. Tutto si schiarisce... Osservo le sue mani, e mi sorprendo nel notare che ha un dito sprofondato nella marmellata. La guardo con gli occhi di un bambino che vede il mare per la prima volta; '' Questa lo è...'' aggiunge splamandone un sottile strato sul pane. '' La via giusta è quella che ti piega al servizio, ti distrugge, ti decostruisce, ti scolpisce per liberarti dall'eccesso. E tu, in cambio, gli offri gioia, pura, fragile, lucente. Ora puoi, ora la vedi, vero?

''Cosa?''

''La quiete accesa del quotidiano.''

Mangia la fetta, di gusto.
Si mette in disparte, nell'ombra, e mi osserva.

Equilibrio e Saggezza ritornano...

Bruchi e aquiloni diventano statue di ghiaccio, serie e concentrate, quasi in posa. Solo il vento le sfiora, le scioglie. Le gocce che scivolano lungo il braccio sono delle lingue nere che leccano il dolore e lo trasformano in sogni di diamante.

E' la mia fermata. Sono arrivata.

lunedì 22 febbraio 2010

Fly One Time - Caribbean blue

La vista.
Il senso più gratificante e gratificato quando esploro il mondo e nuovi orizzonti si aprono ai miei occhi.

Spesso mi viene chiesto quale sia il mio aeroporto preferito: è proprio pensando alle emozioni che mi suscitano l'atterraggio, il decollo ed il variegato panorama circostante che non ho dubbi a rispondere Princess Juliana International Airport a Sint Maarten, Antille Olandesi.


E' una straordinario spettacolo per la vista ed in quanto tale merita di essere raccontato per immagini.
Il fascino del Mar dei Caraibi è innegabile: i colori che la distesa d'acqua restituisce allo sguardo spaziano dal verde smeraldo al turchese ed insieme al cielo azzurro fanno da splendido contorno a questa perla preziosa, festa di colore.


E' da circa due anni che ho la fortuna ed il privilegio di poter pilotare di tanto in tanto gli aerei della tratta Miami – St. Maarten.
Quando l'avvicinamento e l'atterraggio avvengono al tramonto, col sole alle spalle della pista 09, e l'aereo lentamente procede nella sua morbida discesa, ho l'impressione che l'atmosfera risuoni dei violini, dei fiati e del pianoforte della Rhapsody in Blue di George Gershwin.



Penso che l'atterraggio al Princess Juliana sia uno dei più impegnativi al mondo per un pilota. La pista è molto corta e gli aerei con cui ci si arriva spesso non sono così piccoli e leggeri...

Se sono sull'isola ed ho un po' di tempo faccio sempre un salto al Sunset Beach Bar. Sorseggiando un buon cocktail tropicale mi gusto da due passi gli atterraggi dei numerosi ATR 72, Airbus A340 e Boeing 737, tenendo d'occhio il simpatico tabellone degli arrivi, aggiornato in tempo reale.



Il meglio del meglio? Quando arriva un “Big old jet airliner” come il Boeing 747. La spiaggia e la strada subito adiacente rimangono congelate in attesa del suo roboante passaggio.
Tutto questo merita decisamente una visita.



E quando sono io a salire su uno di quei bestioni a due piani, pronto sulla pista 09, sento la potenza dei motori che rombano ed il riff anni '70 di una magnifica Les Paul.
Le due cose, unite, creano un effetto niente male.
Big ol' caribbean jet airliner, baby!

martedì 16 febbraio 2010

Fly One Time – PP 1206: SFO – LHR

19.05 Pacific Standard Time (PST).

Il Boeing 777 della PP International Airlines sale potente ed indisturbato attraverso le rade nuvole di questa tiepida serata di dicembre, lasciandosi alle spalle una scia bianca chiaramente visibile nell'atmosfera dorata.
La San Francisco Bay è là sotto e scorre veloce sotto gli occhi dei passeggeri, che ammirano in completo silenzio lo spettacolo luminoso offerto dal Golden Gate Bridge e dai grattacieli di Downtown.


Dopo una rapida salita fino a 7'000 piedi in direzione Nord, viriamo per prua 0-7-0, Nord – Est, continuando a salire fino alla quota di crociera di 37'000 piedi, la bellezza di 11'200 metri.
Ding. Ding. Ding.
Il triplo segnale acustico segnala ai passeggeri che si possono muovere liberamente all'interno dell'aereo, mentre uno steward entra nella cabina di pilotaggio portando la cena per me, Michael e Tore.

Penso che molti colleghi piloti concordino con me sul fatto che volare su lunghe tratte intercontinentali sia faticoso, ma nel complesso meno logorante rispetto ad una giornata piena di voli più brevi, costellata da tante salite, discese, attese.

Comunque una buona decina di ore di volo notturno ci separano dall'aeroporto Heathrow di Londra e sono felice di poter condividere i comandi del Boeing 777 con due validi piloti come Michael e Tore.
Michael, il Primo Ufficiale, è Californiano, originario di Sausalito, proprio vicino a San Francisco: giovane e brillante, è una spalla fidata.
Tore è il Relief Pilot di questo volo, il terzo pilota che consentirà che, a turno, uno dei tre possa staccare per riposarsi un po'. Lavoratore preciso e silenzioso, abituato al rigore della sua Norvegia, fatica sempre un po' a sedersi al posto di guida, visto che sfiora i due metri d'altezza.


Trascorse oltre cinque ore di volo, il GPS indica che stiamo sorvolando l'isola di Newfoundland, sulla costa orientale del Canada. Tore entra puntuale in cabina curvandosi tutto, come suo solito. Gli cedo volentieri i comandi e la fresca compagnia di Michael, esco e vado ad accomodarmi sulla prima poltrona disponibile.

Due passeggeri seduti dietro di me, evidentemente insonni, parlano concitatamente di affari. L'accento e i cappelli bianchi non mentono: sono Texani. Nessun limite alla loro brama di denaro e al volume della loro voce.

Per fortuna la visione della luna piena, straordinariamente luminosa questa notte, unita al ritmico lampeggiare delle luci sull'ala sinistra dell'aereo, ha su di me un effetto rilassante ed ipnotico. Una musica dolce e piacevole risuona dalle morbide cuffie di pelle ed io, piano piano, mi lascio andare...

...Mi alzo in piedi e mi guardo le mani. Sono sporche di terriccio ed aghi di pino. Le ripulisco alla bell'e meglio.
Mi guardo intorno: sono circondato da alberi altissimi e fitti. Strano, sono disposti esattamente in circolo ed io sono in mezzo.
Il sole sta tramontando, l'oscurità avanza.

Perchè sono qui?
...
Rumore... Non sono solo, c'è qualche animale che gira da queste parti.
O forse non sono animali... Mi sento osservato.
Basta, mi devo spostare subito. Devo andare a casa.
Che strada ho fatto per arrivare fin qui? Di là, provo di là.
Uh, fa freddo qui...

Cos'è stato?
...
Ah, solo il vento...
No, no, non da questa parte! Non ricordo di aver visto questa roccia a forma di brontosauro.
Devo andarmene da qui. Devo correre. Di là.
...
E' solo il vento, è solo il vento, non c'è nessuno qui...

Fuori. Sono fuori.
Quel recinto, quel campo di grano...
Mi ricordo. Presto!
Mi bruciano le braccia: i rami mi hanno strappato i vestiti.
Il cuore mi rimbalza nel petto, pesante come non mai, e corre insieme a me.
E' tanto buio, fa freddo qua fuori..
Devo correre più veloce che posso, devo arrivare...

Un chiarore.
Mi avvicino.
Solida e sicura, brilla nel buio.
Riconosco il portico, le finestre luminose: passano le paure.
E' lì, mi aspetta e mi chiama come un faro nella notte.

La discreta luce della torcia di uno steward mi passa davanti agli occhi. Mi sveglio e, dopo un buon carico di caffeina made in USA, entro in cabina per dare il cambio a Tore.


Il sole sta sorgendo sopra i ghiacci della Groenlandia. Non c'è una sola nuvola in cielo e i raggi di luce si allungano sulla gelida superficie del mare per cercare di dare colore e calore alla ruvida distesa bianca. Michael indica fuori dal finestrino di destra:
“Non ti sembra che quella roccia assomigli ad un dinosauro?”.

sabato 13 febbraio 2010

Senegal 2009 - "Per calcolare la sua età invece non aveva altri punti di riferimento e aveva rinunciato al conteggio molto tempo prima."

24/7 Malika

La notte tra il 23 Luglio e il 24 Luglio verrà ricordata (almeno i miei nipoti) come la notte del “furto”.

Devo ammettere che, sebbene sia stato il bersaglio più gradito dai nostri visitatori, patì meno del previsto le conseguenze dell’accaduto.

Passato qualche giorno, l’assenza forzata del cellulare finì persino con rivelare i suoi lati positivi. Dopo forse 6 anni, per la prima volta, sperimentai la vita senza l’appendice elettronico e, purtroppo, ne notai i benefici.

Il furto non passò come un fatto qualsiasi all’interno della comunità. Nessuna rivoluzione, ma gli avvenimenti che ne scaturirono, il giorno stesso e i giorni seguenti, furono tali da scuotere i miei occhi assuefatti da occidentale dando una sferzata al mio immaginario e alle mie idee.

Più volte ho considerato quel furto una grande fortuna.

La mattina dopo la visita notturna, scoprimmo l’accaduto dopo colazione. Ci dirigemmo comunque tutti alla scuola, era il primo giorno di attività.

Nel tragitto e nelle pause si discusse l’avvenimento e le sue dinamiche; io e Fabrizio, B in questo caso, rimanevamo per qualche ragione piuttosto ottimisti sulla possibilità di rivedere i nostri beni.

Rientrati a casa per la pausa pranzo ogni più rosea previsione fu accantonata.

Ansiosi di risposte e conforto, Io e Fabrizio B ci accontentammo di osservare Jule mentre spargeva polveri nelle camere e accendeva una candela all’angolo del corridoio sul quale davano le nostre stanze. Sorrisi qualche secondo, incredulo e incuriosito, un sorriso di presunzione. Ma il tono mutò in fretta quando lo scorrere dei miei pensieri arrivò al paragone. Rimasi scosso e iniziai a pensare, da allora non ho ancora smesso…

Il pomeriggio seguente il gruppo si divise. Una parte continuò il lavoro a scuola, un’altra iniziò il giro tra le famiglie dei bambini che “Renken” sostiene nel villaggio. Seguii il secondo gruppo.

La prima tappa fu in una casa vicinissima alla scuola.

Mi ero attardato ed entrai nell’abitazione qualche minuto dopo gli altri.

Percorsi il breve corridoio dell’ingresso saltando qualche gallina e sorprendendomi di quanti animali vivessero all’interno. Nella sala vidi Fabrizio B mentre osservava le stanze rimanendo un passo fuori da ognuna e Simona che ascoltava in piedi i dialoghi tra Lara, Claudia e la padrona di casa. La donna era seduta e teneva in braccio uno dei bambini più piccoli. Parlava piano e non sembrava dare espressione alle sue parole. L’accento Wolof contribuiva a rendere ancora più serio il suo portamento. Era sola a guardare i bambini. Il marito era partito per il Mali dopo il concepimento del loro ultimo figlio, per ricordarsi quanto tempo era passato calcolava il tempo della gravidanza e i pochi mesi trascorsi dal parto. Per calcolare la sua età invece non aveva altri punti di riferimento e aveva rinunciato al conteggio molto tempo prima.

Alternava la direzione del suo sguardo unicamente verso l’interlocutore e verso il volto dei suoi figli così rimasi qualche minuto a fissarla ma non trovai nel suo volto tracce di resa o disperazione.

Più tardi ci spostammo in un’abitazione poco distante, più centrale nel villaggio.

Fummo accolti in un cortile sabbioso condiviso da alcune famiglie. Un lungo filo, i cui estremi corrispondevano alle due pareti opposte nel cortile, ospitava vestiti appesi.

Le aree coperte da un tetto erano poche stanze, molto piccole e poco illuminate, notai che tra tutte c’era solo un materasso. Questa volta fummo invitati a sederci all’aperto, per terra, su un telo comune.Escluso parzialmente dai dialoghi, avevo la possibilità di guardarmi intorno. Dalla sabbia del cortile emergevano oggetti di ogni tipo. Una calza, un contenitore, un sacchetto di plastica bianco, l’ennesimo che vedevo semisepolto per terra. Questa padrona di casa era un donnone enorme con un sorriso direttamente proporzionato. Indossava un vestito semplice ma elegante che le copriva tutto il corpo. Teneva una delle sue figlie in braccio e uno dei bambini per mano, si muoveva lentamente ma non sembrava fare fatica.

Non aveva più accesso all’acqua ed era preoccupata per la salute dei membri della famiglia. Anche in questa abitazione nessun uomo si trovava in casa in quel momento.Più volte durante le conversazioni mi aveva sorpreso il vigore della sua risata e i sorrisi spontanei che riservava anche nei nostri confronti. Una mamma e una donna solare, anche senza Ikea.

Mentre ci congedavamo si fece seria e richiamò le sue bambine. Ognuna ci salutò con un inchino. Uscimmo dal cortile nel mezzo di un nuvolo di bambini che stavano giocando per la strada, vedendo noi esitarono qualche istante scambiando qualche parola nella loro lingua, poi ricominciarono a correre alzando una nuvola di polvere dietro di loro.

venerdì 12 febbraio 2010

Ombre - Dimmi la verità

..la nostra versione della storia,
quella che raccontiamo in giro,
è come una perla: un liscio strato bianco con il quale ricopriamo il fastidioso granello di sabbia della Verità...

giovedì 11 febbraio 2010

Pensieri e parole

La giovinezza non è un periodo della vita ma è uno stato d'animo,
che consiste in una certa forma della volontà,
in una disposizione dell'immaginazione,
in una forza emotiva:
nel prevalere dell'audacia sulla timidezza e della sete dell'avventura
sull'amore per le comodità!
Non si invecchia
per il semplice fatto di aver vissuto un certo numero d'anni
ma solo quando si abbandona il proprio ideale.
Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo
la rinuncia all'entusiasmo li traccia sull'anima.
La noia, il dubbio, la mancanza di sicurezza,
il timore e la sfiducia
sono lunghi lunghi anni che fanno chinare il capo
e conducono lo spirito alla morte.
Essere giovane significa conservare a 60 o 70 anni
l'amore del meraviglioso,
lo stupore per le cose sfavillanti e per i pensieri luminosi;
la sfida intrepida lanciata agli avvenimenti,
il desiderio insaziabile del fanciullo per tutto ciò che è nuovo,
il senso del lato piacevole e lieto dell'esistenza.
Resterete giovani finché il vostro cuore saprà ricevere
i messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio,
di grandezza e di forza che vi giungono dalla terra,
da un uomo o dall'infinito.
Quando tutte le fibre del vostro cuore saranno spezzate
e su di esse si saranno accumulati
le nevi del pessimismo e il ghiaccio del cinismo,
è solo allora che diverrete vecchi
e possa Iddio aver pietà della vostra anima!

mercoledì 10 febbraio 2010

Ombre - Ombre

Le ombre di notte non sembrano spesso qualcosa d'altro?
Una mano, una persona...
Anche il giorno, dopotutto, non è del tutto diverso...
Vedi una cosa e te ne ricorda un'altra...
Lui stesso è un po' come la notte...

martedì 9 febbraio 2010

The unforgiven

Sali le scale con la serenità di sempre. Ma quando arrivi alla porta la tensione sale, insieme ad un brivido lungo la schiena. E puoi sentire distintamente lungo il braccio la pelle d'oca che parte dalla spalla e arriva fino alla mano sudata che, chiusa in un pugno, sta per bussare alla porta. Toc Toc. "Avanti" senti dall'altra parte. Entri, silenzioso. "B-buongiorno..." riesci a farti uscire dalla bocca impastata. Lui è seduto con una coperta sulle gambe e un buon libro tra le mani. Alza lo sguardo e ti fa un sorriso al quale mancano troppi denti per non essere sincero. "Vieni qui, ragazzo!". Ti avvicini con una sedia che trovi in mezzo alla stanza e ti siedi al suo fianco. "E' successo di nuovo?" ti chiede lui. "Sì" rispondi tu. E quella risposta è un macigno. "Questa volta in che modo?". Gli mostri le maniche della camicia bianca ancora sporche di sangue e lui capisce. "Perchè?" esigendo una risposta sincera. "Lo stesso motivo dell'ultima volta. Sempre lo stesso dannato motivo". "Capisco". "Ti prego aiutami" e i tuoi occhi si fanno lucidi. "Sai che non posso farlo" ti fa secco lui. "Sì che puoi cazzo". "Stai calmo" e la sua voce è pacata ma decisa. Ti zittisce. Si avvicina al tuo volto e ti dà una carezza ruvida. "Non puoi andare avanti così. Ti stai rovinando. E io non posso continuare a lungo a fare finta di niente" ti dice dolce. "Ti prego fai quello che devi" sono le tue uniche parole. Ti guarda serio, e il suo sguardo è pieno di compassione. Tende le braccia verso il tuo capo e poi tutto d'un fiato: "Io ti assolvo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Vai in pace figliolo." E senza più guardarti torna a leggere il suo libro. A te non serve altro. Ti alzi sollevato, contento. Lo ringrazi e ti avvii verso le scale. Fischiettando per la strada ti perdi tra la gente.

lunedì 8 febbraio 2010

Fly One Time - Oriente

Parigi per me significa soprattutto Emozione.
L'emozione che viene dalle passeggiate lungo i viali ariosi che tendono all'infinito o nelle ruelles spesso ricche di sorprese ben celate.
L'emozione suscitata da un'opera d'arte, sia essa conservata in un museo o per strada, sia essa un quadro o una canzone, uno spettacolo.
L'emozione di uno sguardo, di uno scorcio, di una notte.
Come questa.


Quando devo trascorrere la notte a Parigi l'appuntamento con la Torre è immancabile.
Già, la Tour Montparnasse: 210 metri d'altezza, esteticamente un pugno nell'occhio per l'armoniosa skyline parigina, ma dal Café al 56° piano la vista è davvero strepitosa.

Il rosso rubino del Beaujolais che sorseggio si riflette sull'ampia vetrata di fronte a me, mentre lascio che lo sguardo spazi verso i corridoi di luce ambrata, sui viali che richiamano il colore di un cielo ancor per poco rischiarato dal sole di ottobre.


Inevitabilmente vengo attratto da Lei, Regina incontrastata del Campo di Marte, la Tour Eiffel. Punta decisa verso il cielo, lo illumina col suo imponente fascio di luce e, allo stesso tempo, è ben ancorata alla sua terra, la domina dall'alto e la contraddistingue come solo una pedina di ferro alta 324 metri può fare.
Seguo i percorsi di luce color smeraldo e trovo, sulla destra, mirabilmente illuminato, l'imperiale Hôtel des Invalides. E poi ancora – che serata limpida! - intravedo le luci e immagino il traffico degli Champs-Élysées, sorvegliati dall'Arc de Triomphe, laggiù.
Mi viene naturale allora andare ancora più in là con lo sguardo, la serata lo consente e io ne approfitto. Ecco allora la macchia scura dell'enorme polmone di Parigi, il Bois de Boulogne. E laggiù le affascinanti altezze dei grattacieli de La Defense. E poi, e poi... In direzione Nord, quella luce nel cielo: qualche collega in avvicinamento finale a Beauvais – Tillé.


Il volo per Mosca parte alle 8.30. La sveglia all'alba è d'obbligo.
Esco dall'albergo e prendo Rue des Saints-Pères. Un taxi libero.
No, il richiamo della Senna è troppo forte... Ho tempo, lo prenderò tra dieci minuti.
Sbuco su Quai Voltaire e subito salgo sul Pont du Carrousel.

La città si sveglia lentamente e lentamente va a dormire.
Il fiume accoglie placido i primi chiarori del mattino, mentre le sagome scure di Notre-Dame e dell'Institut de France iniziano a prendere colore.
Dagli auricolari l'ipnotica melodia di Paris Sunrise #7 mi accompagna e mi fa gustare questo momento unico, mentre i pensieri vibrano nell'aria fresca come note.


Silenzio...
Sorrisi, luci.
Specchio per la mente.


Segni sottili e distinti.
Dolce presenza.
Il calore di un lungo abbraccio.


Soffici sopracciglia.
L'armonia di un accordo.
Nuovi orizzonti.


“Evviva il cielo che ci fa volare
,
evviva la terra che ci fa sporcare,

evviva il silenzio che allena la mente,

evviva un sogno di pace splendente”
.

domenica 7 febbraio 2010

Delusione

Anche tu.
Delusione. Rabbia.
Una lacrima si infrange su un frammento di vetro rotto.
I sogni, stupidi e immaturi, si spezzano.
Ancora.
Anche tu.

giovedì 4 febbraio 2010

Occhi









Era tanto che non venivo a trovarli. Stavo passeggiando lungo il corridoio, quello al piano di sopra, dirigendomi verso il bagno per darmi una rinfrescata dopo il lungo viaggio fatto per venire fin da loro.
La porta era aperta e lui era rivolto verso la finestra, quando si accorse della mia presenza.
-Sai cosa mi piace della primavera? – disse incuriosendomi ad entrare – mi piace il modo che ha di colorare la vita delle persone, ogni elemento che c’è li fuori è li per i stimolare i tuoi sensi. La vista è appagata dal susseguirsi dei colori della fioritura, il cielo terso, il sole caldo che ti bacia la pelle, l'aria frizzantina che ti accarezza il viso, il vociare allegro dei bimbi che rotolano sul prato.
Guarda quegli scoiattoli che giocano con le ghiande, e le rondini, che volano attorno a quei due amanti che si baciano sulla panchina - .

Le sue parole mi riempivano di emozione mista a commozione, scrutava e descriveva e la sua immaginazione andava ben oltre la sua cecità.

mercoledì 3 febbraio 2010

2 febbraio

Il rumore dello scroscio della pioggia mi accompagna,
fedele triste compagna che accarezza i miei passi silenziosi e sordi,
il suo ritmo incessante rompe il silenzio del mio cuore
mentre cammino davanti a San Paolo.
solo a lei stasera concedo di guardare attraverso i miei occhi tristi,
solo a lei confido il dolore della tua assenza,
a lei che culla i miei pensieri
e mi accompagna fino a casa.

martedì 2 febbraio 2010

Fly One Time - Primrose Hill

Mentre ti scrivo, starai preparando la cena.
Ti immagino: lì in cucina, dolce e silenziosa. Buon profumo, colori intimi e caldi. La tv accesa su “Che tempo che fa”.
Due occhi grandi, verdi, ti guardano, poi si fissano sul modellino della macchina rossa, poi su quel bell'aeroplano bianco, poi sulla bottiglia coloratissima, poi di nuovo sulla mamma, che non si sa mai...

Mi mancate.
E' stata una settimana dura, ne abbiamo fatte di miglia. West coast, East Coast, West Coast, East Coast. Oggi Londra, finalmente. Ma soprattutto, domani sarà Torino, sarà Casa.

Fuori dalla veranda, su Elsworthy Road, vedo passare in questo momento Chris, il vicino (sai, il gallese, quello simpaticissimo, che parla un dialetto quasi incomprensibile), mentre viene portato a spasso dal suo Labrador bianco. Stasera c'è una stupenda luna piena. La sua luce candida filtra in casa e si fonde con quella dello schermo del mio notebook.
Quasi quasi più tardi vado a fare due passi su Primrose Hill, qui dietro. L'aria è fredda ma il cielo è particolarmente terso rispetto agli standard londinesi e mi potrò gustare per un po' il più bel panorama di Londra con il sottofondo di una bella canzone.

Certo, da solo non è lo stesso... Ti ricordi l'ultima volta? Quando siamo finiti in mezzo a quel video musicale con quella ragazza vestita da ballerina di flamenco e tu, guardandola, l'hai fatta ridere, così che hanno dovuto ripetere la scena?
Ah, che bello!

Leggerai questa mail dopo cena...
Quando metterai a letto Gabriele mi piacerebbe che gli raccontassi questa piccola storia da parte mia. Visto che ormai il piccolo fa domande su ogni dettaglio dei nostri racconti ti divertirai un sacco ad arricchire la trama che ti scrivo.
Prima, mentre da Heathrow mi spostavo qui ad Elsworthy Rd, guardavo Londra e...

C'era una volta una piccola anatra. Si chiamava Wright. Avrà avuto tre anni, tre anni e mezzo massimo. Era molto bella: aveva il becco giallo, la testa verde smeraldo, il collo grigio scuro, il corpo grigio chiaro e le zampe arancioni. Viveva insieme ad altre tre altre anatre in un lago enorme, grandissimo. Ma vediamo un po' chi erano le altre anatre e come si chiamavano: c'era Phillips, che aveva le piume delle ali color blu scuro ed era un'anatra pescatrice; c'era Jermain, un anatroccolo piccolo e muscoloso e davvero molto spavaldo; infine c'era Defoe, un'anatra anziana, di dieci anni, che faceva un po' fatica a nuotare ma aveva sempre buoni consigli da dare e parlava davvero tanto.
Wright era la più giovane delle anatre, ma era intelligentissima e se la sapeva cavare molto bene in ogni situazione. Il suo migliore amico e compagno di mille avventure era Jermain.

Era un giorno come tanti altri, agli Highgate ponds di Hampstead Heath, la casa delle nostre amiche anatre. Come ogni mattina, alle 7.30 puntuali, le libellule erano passate a suonare la sveglia e le anatre avevano fatto colazione mangiandosele. Le anatre, infatti, essendo degli uccelli, si nutrono anche di insetti!
Dopo un'abbondante colazione, quindi, le quattro anatre di Hampstead partirono per un viaggio: dovevano arrivare dall'altra parte del lago prima del tramonto. Come al solito Jermain partì nuotando velocissimo e dopo un minuto era già davanti a tutti. Phillips si muoveva più lentamente ma, così facendo, di tanto in tanto riusciva a pescare qualche piccolo pesciolino e ne dava anche ai suoi amici. Wright nuotava proprio bene per avere solo tre anni e, muovendosi fluida nella fresca acqua del laghetto, si guardava intorno, osservava tutto e cercava di imparare il più possibile. Scuoteva il becco pensando a Jermain, a cui invece importava soltanto di arrivare per primo dall'altra parte del lago. Defoe era molto indietro, sudava un po', ma piano piano si spostava anche lei verso l'altra parte del lago cantando a squarciagola le belle canzoni dei suoi tempi.

Era estate ed era domenica, Wright l'aveva capito perchè tante persone erano sedute, sdraiate o giocavano intorno al lago. Era bello vedere quegli animali strani che si muovevano e a lei stavano simpatici soprattutto quelli piccoli piccoli. Soprattutto quelli che avevano gli occhi verdi, perchè erano dello stesso colore del suo collo.
Ad un certo punto Wright sentì un rumore fortissimo, quello che avrebbero potuto fare cento tronchi che fossero caduti nel lago mentre Defoe urlava contro i piccioni. Senza capire perchè, sentì il bisogno di volare. Non importava dove, doveva solo volare. Vide che anche le altre anatre provavano a fare lo stesso. Defoe non ci riuscì, appesantita dai suoi anni e dai troppi spuntini che gli uomini le avevano lanciato in acqua nel corso della sua vita. Disse alle altre di pensare a salvarsi, lei ce l'avrebbe fatta.

Wright perse presto di vista le altre anatre e volò all'impazzata verso quello che le sembrava un lago enorme, in lontananza. Iniziò a sentire dell'acqua caderle sulle ali, ma grazie ad una tecnica che le aveva insegnato Jermain riuscì a volare bene. Volò verso il lago per qualche minuto, era quasi arrivata. Fin quando... Ahi! Le cadde addosso un pallino bianco che per poco non la fece precipitare. Poi ne vide altri. Cos'era quella pioggia strana? Doveva mettersi in salvo.

Atterrò sull'acqua, l'aveva raggiunta finalmente.
A ben vedere, forse non era un lago... Comunque, i pallini bianchi facevano male, doveva andare in un posto coperto. Si alzò di nuovo in volo e raggiunse quello che le sembrava un enorme pavone. Conosceva i pavoni, ogni tanto ne vedeva uno e le piacevano. Pensò che lui avrebbe potuto coprirla sotto le sue piume: era piccola ed indifesa. Vide che il pavone era bianco: non si vedevano tanto spesso pavoni bianchi, ma Defoe le aveva detto che una volta, quando era allo zoo di Londra, ne aveva visto uno così. Allora andò decisa da lui. Quando gli arrivò vicina si accorse che era davvero grande. E aveva una ruota stranissima! Era formata tante grandi uova bianche e blu. Provò a chiamare il pavone, ma, visto che non si girava e che la pioggia di pallini continuava a cadere, decise di provare a coprirsi dentro una di quelle uova: era aperta, doveva esserne uscito da poco un pulcino!

Entrò.
Dopo un istante l'uovo si mosse. Wright non capì cosa stava succedendo. Riusciva a vedere fuori: l'uovo stava volando! Si muoveva molto lentamente e saliva, saliva... Vide che la pioggia di pallini bianchi era finita. Non poteva più uscire dall'uovo, si era chiuso. Il cielo iniziò a diventare azzurro, le nuvole scomparvero. L'uovo era arrivato davvero in alto e Wright fu affascinata dalle cose che vide in quel momento: la città era sotto di lei e poteva anche vedere casa sua laggiù. Si sentiva protetta, al caldo di quell'uovo. Si accoccolò tra le sue piume ormai asciutte e, piano piano, si addormentò...

Bene, spero di non aver esagerato. Sai bene che quando inizio a raccontare vengo coinvolto dalla storia e non mi fermerei più...
Ora esco e faccio due passi su Primrose Hill ascoltando questa canzone.
Prova a sentirla anche tu e dimmi se ti piace: la trovo rilassante, magica, perfetta per questa notte, per ricordare che “the earth is not a cold dead place”.


A domani, non vedo l'ora.

B