Faccio un cenno di ringraziamento alla hostess, che esce dalla cabina, mentre dalle cuffie ronza il messaggio di via libera dalla Torre di Controllo: “PP IA 0125 cleared to take-off. Runway 35 L”.
Diamo tutta manetta e l'aereo ci restituisce la splendida sensazione di imperiosa potenza incollandoci agli schienali.
"130 miglia all'ora...140...150...”
Tiro lentamente verso di me la cloche e dopo qualche secondo il mondo è là sotto, piccolo piccolo, e noi saliamo attraverso le nuvole di questo fresco mattino di marzo.
Mentre i motori rombano a piena potenza e la salita procede fluida e sicura verso un cielo sempre più blu penso alle persone che siedono a pochi metri da me, immagino le loro storie...
In Business ho visto la solita schiera di manager in carriera “cravatta-collettobianco-blackberrycompulsivi” pronti, appena giunti a destinazione, ad uscire dall'esclusivo e centrale aeroporto di Londra e a fiondarsi in qualche ufficio nelle Docklands o nella City per una nuova settimana all'insegna delle transazioni a molti zeri.
Ci sarà quel bimbo - chissà quanto sarà emozionato – che appena salito sull'aereo si stava catapultando dentro la cabina di pilotaggio e probabilmente me lo sarei trovato in braccio se non fosse stato per lo steward. Affascinato da tutto, mi ricordava qualcuno... Più tardi mando la hostess a chiamarlo e gli faccio vedere cosa si prova a stare qui, gli piacerà.
E poi, sparsi qua e là, ci saranno – la statistica è infallibile – gli Aviofobici. I passeggeri che, purtroppo, proprio non riescono a godere dello spettacolo del volo. Li vedi già tesi prima dell'imbarco, mentre scrutano il falco di metallo e vetro che li porterà sopra le nuvole. Guardano con attenzione i tecnici che si affaccendano laboriosi tra i suoi artigli e alzano il livello d'allarme quando sembra che uno di loro stia lavorando un po' troppo a lungo là sotto... Una volta messo piede sull'aereo, possono diventare incontrollabili. Incollano gli occhi sugli assistenti di volo, ansiosi di conoscere ogni procedura d'emergenza compresa la collocazione del beccuccio di riserva del giubbotto di salvataggio e leggono una decina di volte l'”apposito opuscolo collocato nella tasca di fronte a sè”. Per non parlare del panico da turbolenza...
Pensando a loro scuoto la testa dispiaciuto, mentre livello lentamente l'aereo alla quota di crociera di diecimila metri, sopra il Lago di Ginevra. Ed è soprattutto a loro che penso cercando di svolgere ogni giorno un lavoro “smooth and clean”.
I grandi pneumatici dell'aereo si appoggiano sull'asfalto sollevando una nuvoletta di fumo bianco, mentre i riflessi del pallido sole londinese scintillano sugli specchi d'acqua delle Docklands.
“PP International Airlines vi ringrazia per la preferenza accordata e si augura di potervi accogliere presto sui propri aerei.”
La lounge PP nel terminal dell'aeroporto è piccola ma confortevole. Io e José ci concediamo un assaggio di English breakfast e poi ci salutiamo con un bell'abbraccio. Domani mattina si torna a Milano, abbiamo un giorno libero.
Un'enorme, variegata, interessante, divertente, affascinante metropoli, in cui puoi immergerti pienamente senza venirne sopraffatto: “British style”.
Ho trovato una bella casa nel quartiere di Primrose Hill, tranquillo, immerso nel verde, a due passi da Regent's Park.
Entro in casa e penso a mia moglie ed a mio figlio: “Chissà, magari presto saremo qui...Insieme”. La giornata scorre tranquilla tra il jogging a Regent's Park, un sonnellino ed un po' di ottima televisione inglese.
Le 19.00: suona il telefono. E' José. Mi propone di accompagnarlo in un locale, il “Met Bar”. Mi concedo uno strappo alla regola e gli do fiducia: è lui quello che conosce la “London by night”!
Un'ora dopo siamo seduti ad un tavolino di fronte ad una mezza pinta di ottima lager inglese. Il locale è molto trendy, molto “contemporary art”...Francamente asettico e poco stimolante. L'unica cosa che realmente mi stimola in questo ambiente è l'invitante visione di uno splendido pianoforte a coda Yamaha, nero, lucido. Ecco uno splendido pezzo d'arredamento, altro che due fili di rame intrecciati intorno ad una mela verde e spacciati per opera d'arte contemporanea di un presunto artista sudcoreano mentecatto.
Mentre parlo con José del nostro lavoro, della nostra compagnia e delle future nuove tratte da affrontare, l'occhio mi cade su una figura che si avvicina al pianoforte.
Eccentrico - “guarda che occhiali!” - basso, grasso e sudaticcio, sgraziato, si siede davanti alla tastiera. Si guarda intorno e inizia a suonare qualche nota. Noto che ha delle dita incredibilmente tozze. Mi ricorda qualcuno, ci sa fare... No.
Lui. Qui. Il Baronetto.
Appena sente che il mormorìo di stupore e meraviglia, che si era rapidamente diffuso nella sala, cala per concedere tutto lo spazio possibile ad un così unico e inimitabile talento, comincia a suonare per davvero. Decolla. Ed io con lui, chiudo gli occhi e salgo tra le stelle.
E' Musica…Mi godo fino in fondo questi dieci minuti.
Penso a Lei, a nostro figlio, alla mia vita. “It's just my job five days a week”.
Una gemma rara, un ricordo prezioso. Il mattino successivo ripasso ancora mentalmente i passaggi delle improvvisazioni al pianoforte di Elton, ancora in estasi mistico-musicale, mentre mi trovo su un taxi, nuovamente diretto a London City Airport. Su Silvertown Way, poi, vedo spuntare la gigantesca cupola del Millennium Dome e buona parte della poesia che mi portavo dietro scompare all'istante.
Diecimila metri di altitudine. 580 miglia orarie di velocità. Il GPS indica che stiamo passando sopra Parigi in questo momento. José commenta: “Anche oggi si vola alla grande, neanche un intoppo...”
Squilla il telefono della cabina. Rispondo io, sarà la hostess che chiede cosa vogliamo per colazione. Non riesco quasi a sentirla, la sua voce è coperta dalla musica. Gente che fa baldoria, che canta “Na na na... Na na na...”.
Lascio i comandi a José e vado a controllare che cosa sta succedendo là dietro.
Mi abbraccia, piangendo. Confuso, lo conforto, mentre i gradi sulla mia spalla destra si bagnano sempre di più. Poi, quando si stacca dalla morsa con cui mi si era avvinghiato e si toglie gli occhiali per asciugarsi gli occhi, lo riconosco.
Lui. Il Baronetto. Sir Elton John.
Aviofobo.
Take me to the pilot, baby!
Quando un post è bello la lunghezza non pesa. E vale per questo post come per altri.
RispondiEliminaMi piace molto vivere le vicende di questo pilota e mi piace molto l'accostamento di questi pezzi con la musica.
C'è solo un modo per farmi sentire Elton John per 18 minuti di fila e farmelo apprezzare veramente. Questo.