23/7 Malika. Mattina presto.
Condividevo la stanza con Fabrizio, Fabrizio M se non volete confonderlo.
Erano circa le 4 del mattino quando avreste potuto trovarci in piedi, mani sui fianchi, guardare verso il letto con espressione inquisitoria. La zanzariera, avvolta su sé stessa, pendeva dal soffitto fermandosi circa un metro e mezzo sopra la superficie del materasso.
L’operazione aveva il sapore di un cerimoniale. Ci industriammo scrupolosamente per qualche minuto finché riuscimmo a darle un assetto. Ne derivò un letto a baldacchino, instabile e inospitale.
Non era facile abituarsi a stare sdraiati sotto quel velo. Continuammo così a chiacchierare a bassa voce per alcuni minuti.
Mentre svanivano gradualmente i rumori della casa, iniziammo a distinguere i suoni che provenivano dall’esterno. La finestra della stanza dava verso il mare e potevamo avvertire, non troppo lontano, il ciclico infrangersi delle onde. Era discreto e rassicurante, non capita spesso di potersi addormentare con quel ritornello.
Dormimmo solo poche ore nonostante la stanchezza del viaggio richiedesse più attenzione. Il caldo e la luce impedirono di prolungare troppo il nostro sonno.
Ci svegliammo più o meno insieme, rimanere distesi sotto quel velo era diventato insostenibile per entrambi.
Mi girai per alzare la zanzariera dalla mia parte e sfiorai il lenzuolo con la mano. Era umido, quasi bagnato.
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Dopo una breve colazione ci avviammo verso la spiaggia. Passeggiammo per qualche centinaia di metri lungo il mare. Camminare era piacevole. L’acqua era limpida, non troppo fredda ed una leggera brezza aiutava a sopportare il caldo. Dove la spiaggia si allontanava dalla riva, invece, era facile trovare rifiuti e oggetti abbandonati. In un lembo di spiaggia più pulito di altri improvvisammo una partita di calcetto.
Ogni 5 o 6 minuti era indispensabile tuffarsi in acqua. Primo bagno.
Tornammo un paio di ore più tardi per ripararci all’ombra di casa nostra. Non eravamo ancora abituati al clima, imparammo a camminare lentamente e a dosare le energie.
Il primo giorno era dedicato a conoscere il luogo e la realtà in cui stavamo per immergerci.
Malika è un villaggio della periferia nord di Dakar.
Prendendo la strada che dalla capitale prosegue verso nord-est, si svolta a sinistra prima del “Lac Rose” e si prosegue verso il mare. Il cuore del villaggio è proprio all’altezza di questo incrocio. C’è il mercato, numerose botteghe, boutique improvvisate, viavai di carri, pulmini e di tutti i loro derivati. Molta polvere, molti odori e molto rumore.
Quel pomeriggio ero ancora in possesso della mia macchina fotografica.
Scattavo alcune foto ed entusiasta cercavo conferme nella riproduzione. Mi accorgevo subito di quanto poco le foto riuscissero a rendere l’idea di ciò che vedevo.
La complessità dell’effetto visivo che coglie l’occhio umano non è riproducibile, per ora, attraverso la tecnologia.
Da un lato mi spiace non avere la possibilità di condividere quei particolari, dall’altro lato sono contento di poter custodire personalmente alcuni ricordi, sforzandomi ogni volta di farli tornare a galla come se non fossero passati parecchi mesi.
Ricordo ancora bene l’invadenza con cui sabbia e cemento definiscono il paesaggio di Malika.
Non avevo mai incontrato prima d’allora quell’abbinamento. Col tempo divenne familiare tanto da comporre una delle prime immagini che mi vengono in mente pensando al villaggio.
La sabbia, densa e spessa vicino al mare, si fa più stabile e compatta tra le vie divenendo il complemento naturale di ogni oggetto. La sabbia è ai bordi delle strade, dentro i cortili, sotto le case.
Il cemento s’impone perché nessuna casa è pitturata, né dentro ne fuori. Laddove definisce una strada, solo di rado le macchine lo nascondono. Il mattone è ovunque perché il mattone è una sedia, un recinto, un gioco per i bambini.
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Per le vie del villaggio avverto un senso di appagamento e di pace che raramente mi è capitato di provare.
Una sensazione di benessere legata all’umanità che si respira all’interno del nostro gruppo e tra la gente ma che s’inserisce in un ragionamento più ampio.
Ogni problema, così come molti altri aspetti della vita, è qui ancora saldamente legato alla sopravvivenza quotidiana.
Non attribuisco a questa dimensione una connotazione negativa.
Quando infatti l’uomo ha superato la soglia della sopravvivenza, raggiungendo il benessere, non sempre ha colto i vantaggi ottenuti. Più facilmente esso ne è divenuto il suo male.
L’uomo ha sviluppato cultura, scienza e tecnica, ma spesso queste conquiste vengono utilizzate in modo improprio e raramente finalizzate per il bene di tutti.
C’è acqua su Marte, su Facebook si possono ritrovare gli amici delle elementari, la Formula 1 fa i Gran Premi anche di notte. Eppure, leggendo i giornali o discutendo al bar, la gente non sembra più contenta.
Se la differenza tra terzo mondo e occidente non si basa solo su riferimenti economici e qualità della vita ma sul grado di consapevolezza e cultura, qualcosa non torna. Cultura e consapevolezza dovrebbero migliorare una società invece di peggiorarla, eppure, dopo secoli di “civiltà” mi viene più naturale considerare le isole felici del mondo come delle eccezioni piuttosto che la maggioranza.
Dove non ci sono guerre non c’è libertà, dove c’è libertà c’è più gente dallo psicologo che a teatro.
Essere “consapevole” in occidente mi porta a riflettere su un bivio di valori.
La società in cui vivo si caratterizza per progresso e pensiero ma riflette come valori principali il successo, il sesso, la ricchezza. Altrove, l’estrema povertà e inconsapevolezza possono riflettere valori come la dignità, la solidarietà, l’accoglienza.
In quali valori mi riconosco? Quale di queste consapevolezze mi appaga di più nelle conquiste quotidiane?
Una consapevolezza più complessa, che arricchisce il mio intelletto ma che nel contesto in cui è permessa mi allontana dai miei valori, o una consapevolezza minore, povera e limitata, ma che mi permette ancora di stupirmi di fronte al saluto di una bambina che non ha nulla ma si inchina per accogliermi in casa, di emozionarmi di fronte a un tramonto e farmi riconoscere il bene disinteressato per un'altra persona molto più gratificante di un cellulare che fa i video anche di notte?