Certo che leggiate lo stesso, stavolta iperbolizzo. Sì perché questa settimana magari non ho proprio visto il Paradiso, ma sicuramente son stato in un posto che qualcosa di simile deve avercelo.
Con i miei amici in settimana avevamo organizzato di andare a visitare la famosa Green Island, e quindi sabato abbiamo fatto la nostra prima gita insieme. Ma, come Dante insegna, non è che uno decide di andare in Paradiso, prende e va: ci sono prove da superare, c’è una guida da assecondare e un Inferno e un Purgatorio da conquistare. Facile se no, a tutti piacerebbe andare a prendere un caffè dopo mangiato con Bonolis o con George, immersi in distese di bianco e simpatia.
Ma non è così scontato, e infatti non lo è stato neanche per noi: l’inferno con cui noi abbiamo dovuto confrontarci si chiama Big Cat ed è un bestione da qualche centinaio di posti che in un oretta scarsa ti porta dal porto di Cairns all’isola che non c’è.
La scena che mi si presenta all’arrivo è stata questa: tutti gli australiani che si vanno a posizionare all’ultimo dei tre piani dell’aliscafo, al sole, senza un filo di ombra ristoratrice, e senza troppi posti a sedere, e i vari turisti giappo-cino-coreani che si catapultano al primo e al secondo piano, prendendo possesso di comode poltrone e coccolati dal climatizzatore stranamente non killer. Davvero non riuscivo a spiegarmi il perché di questa divisione, ma di istinto mi son fidato della scelta degli autoctoni e ho invitato i miei amici a seguirmi senza troppe storie. Mentre saliamo le scale incrocio un ragazzo dello staff che mi chiede di aprire le mani e mi da una caramella colorata, facendomi presente che si trattava di ginger e invitandomi a buttarla giù senza sentirne il sapore. E lì mi sono illuminato, e anche i miei amici hanno capito, dicendomi che sono bravo e bello.
Prendiamo posto al sole già bollente del mattino australiano e partiamo col vento in faccia e le onde che fanno il loro dovere. A questo punto decido di scendere per vedere come se la passano gli sprovveduti turisti della domenica e quello che mi si presenta davanti agli occhi è una scena di un raccapricciante che faccio fatica a descrivere. Quello che dal piano superiore sentivamo come un piccolo oscillare della nave in un movimento che somigliava quasi ad una danza lenta e sinuosa, sotto si era trasformato in un terremoto sussultorio dove si faticava a camminare senza essere sballottati da una parte all’altro. E come ogni punizione dell’Inferno, anche questa aveva la sua legge del contrappasso: in questo girone i peccatori, colpevoli per le loro attitudini turistiche voraci e per la loro fame di fotografare e vedere ogni cosa, erano costretti a guardare il loro vicino vomitare e, inevitabilmente, fare anche loro di conseguenza, in un circolo vizioso che avrebbe infine colpito anche me se fossi rimasto lì altri dieci secondi.
Salgo su, cerco di dimenticare il brutto sogno che ho appena fatto e mi godo il vento in faccia; e poco importa se il Sole-Purgatorio mi colpisce dritto in testa: giù di cappellino e crema solare e tanti saluti a Paolo, Francesca e compagnia bella!
Dopo questa prima ora di assoluto delirio vediamo, tra l’azzurro del cielo e il blu notte dell’oceano, un piccolo trattino verde che si staglia all’orizzonte e separa con grazia i due mondi. Finalmente arriviamo e salutiamo Caronte con un gran sospiro di sollievo, mentre qualcuno dietro di me, bacia la terra e canta inni di lode, e ci incamminiamo alla scoperta di Green Island.
Ci sono alcune cose che è necessario sapere su questa isola e io, che di secondo o terzo nome faccio Virgilio, voglio dirvele tutte quante: il nome non si sbaglia e ovunque ti giri vedi solo grandi alberi che si intrecciano tra loro e un verde che esplode di vita e profuma di primitivo; ci si impiega venti minuti a girare tutta l’isola a piedi, passeggiando sulla bianca sabbia o esplorando i sentieri pieni di cartelli che raccontano affascinanti leggende degli aborigeni; quest’oasi si trova immersa nella più grande barriera corallina del mondo e la prima attrazione del posto è quindi l’esplorazione del mare e delle sue magie.
Ed è stato anche per me, cari amici: in barba alla mia nota paura dell’acqua mi sono buttato anch’io alla ricerca di Nemo. Così per la prima volta ho fatto snorkeling – che poi altro non è che infilarsi una maschera e delle pinne e nuotare, ma che suona oggettivamente molto meno suggestivo e temerario –, mi son fatto coccolare dalle calde acque del Pacifico, ho fatto il bagno con la maglietta per non arrostire, ho visto coralli di ogni forma e dimensione, pesci colorati come mai avrei pensato: verde, viola, azzurro, talvolta ordinatamente insieme, altre volte mischiati come in una tavolozza di un pittore matto. Ho visto anche il famoso pesce con la pinna gialla, ma non ho provato a spezzarlo con un grissino. Ancora, per la prima volta mi son ritrovato d’accordo con il “guardare ma non toccare”, perché l’uomo una roba così può solo rovinarla, piazzando ad esempio al centro dell’isola un poco sensato ma remunerativo resort a cinque stelle, e ho sguazzato sereno e felice in mare aperto, dicendomi che è anche per giornate come quella di sabato che vale la pena di essere al mondo, ma che sicuramente altre volte basta anche molto meno per sentirsi in Paradiso.
E ora, come ogni volta, una serie di veloci news. La novità di questa lista è che si tratta di notizie senza le quali potreste vivere benissimo lo stesso e che non hanno nessuna importanza:
- Il diesel qui costa più della benzina
- Ci sono un sacco di negozi che vendono solo ed esclusivamente stivali invernali, di una marca famosa di cui adesso mi sfugge il nome, e a quanto pare fanno anche guadagni niente male se è vero, come è vero, che ci sono altrettanti negozi cinesi che vendono le stesse scarpe ma con la marca contraffatta. Vi ricordo che la temperatura media annuale qui si aggira sui trenta gradi.
- I saldi durano solo tre giorni e sono al massimo del 20% ma la gente non aspetta altro, e anche Mary è in fibrillazione per questo evento che arriverà tra meno di una settimana. Per la serie: dopo il Natale, rendiamo commerciale anche la Pasqua.
- Ho incontrato il primo ragazzo italiano e ci ho fatto due chiacchiere alla fermata del pullman. In realtà ne avevo già incontrati in passato, ma ho sempre fatto finta di non sentire la loro lingua e tiravo dritto, alzando il volume della musica. Il perché è scontato: se mi metto a fare amicizia con ragazzi italiani va a finire che parlo solo italiano, e tanto valeva andarsene tre mesi a Pinerolo a questo punto.
A rileggerle non è che le altre volte abbiano avuto più senso, ma tant’è.
Scusandomi per l’altra volta, questa settimana per la rubrica “Proverbi italiani che non hanno senso se li dici in Australia” vi propongo una lettura diversa ma comunque analoga del tema dello scorso aggiornamento:
L’erba Voglio non cresce neanche nel giardino del re.
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