What if I say you're not like the others?


Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!

venerdì 15 aprile 2011

News from Australia part 5

Adoro i pullman di questa città.

Non per l’aria condizionata che i conducenti sparano senza ritegno ignari della manopola in grado di regolare la temperatura. Non vado pazzo nemmeno per il rumore assordante che fanno nel muoversi, tanto che io e Alex per parlare dobbiamo urlare neanche fossimo agenti di Borsa a Piazza Affari: penso che alle sette del mattino qualsiasi tono di voce superi la soglia della normale chiacchierata sia da classificare come crimine contro l’umanità.

No, di loro mi piace soprattutto, o forse solamente, una cosa: i vetri oscurati.

Sono oscurati, va da sé, per proteggere i passeggeri dal sole di cui oggi ho scoperto la reale pericolosità: nello stilare la classifica delle città australiane più esposte al rischio di cancro alla pelle per i propri abitanti, il telegiornale ha posizionato Cairns ad un secondo posto che gli ha pure negato il piacere della vittoria, e ha inoltre suggerito molto caldamente –mi chiedo se era necessario fare questa battuta, ma ormai è andata– , un esposizione al sole che non superi i sette minuti al giorno. Sette minuti al giorno! Roba che ne neanche ti accorgi di cosa sta succedendo che già ti sei bruciacchiato tutto. Io l’ho testato domenica per dieci minuti, e devo dire che da queste parti il telegiornale tende a dire la verità. Questa era per Minzolini, nel caso in cui qualcuno di voi gli girasse i miei aggiornamenti.

Ma a me i finestrini oscurati non piacciono per questo.

Come ogni buon finestrino oscurato che si rispetti, anche questi danno la possibilità a chi è dentro di vedere cosa succede fuori ma non viceversa. Durante il viaggio di ritorno a casa sono spesso solo, perché io e Alex abbiamo orari e impegni diversi, che ci trattengono nella City più o meno a lungo. Quindi per far passare il tempo, ho messo in piedi durante questa settimana un approfondito studio sociologico sui cittadini di Cairns e dintorni: ad ogni fermata mi metto a fissare i loro occhi, cercando di captare se siano felici oppure no, se siano pensierosi, dubbiosi, incazzati, rilassati o stanchi, e, nei casi più evidenti, spingermi oltre fino a determinare i motivi di questi stati d’animo.

Così ogni giorno incontro ragazzi che hanno appena preso un pessimo voto a scuola e non sanno come dirlo ai genitori, signore che hanno appena tradito i loro mariti e si mordono nervosamente le labbra per trovare una scusa buona da consegnare al rientro a casa per giustificare il ritardo, musicisti con la testa per aria perché gli sta per arrivare l’ispirazione giusta per chiudere il pezzo, ragazze madri che, mentre giocano con il cellulare, buttano velocemente lo sguardo sul passeggino sperando, inconsciamente o forse neanche tanto, di essere solo in un brutto sogno, adolescenti, un sacco di adolescenti, che, col cellulare in mano, non sanno dove sbattere la testa perché ragazze troppo belle non rispondono ai messaggi, ubriachi felici che cantano e parlano con tutti perché il mondo sorride, e ubriachi che piangono disperati e mandano a quel paese pure il conducente perché il mondo è uno schifo.

Il brivido più grande è quando, per un motivo del tutto fortuito, i loro sguardi incrociano i miei occhi. Loro magari si stanno specchiando sul vetro prima di salire sul pullman, e io ne posso cogliere i loro umori, mentre loro inconsapevolmente mi stanno fissando. La sensazione è quella di essere ad un confronto all’americana dove l’assassino per un attimo volge lo sguardo sul vetro, dall’altra parte del quale c’è il testimone con il dito puntato verso di lui. Troppo estremo? Va beh, son pensieri.

Fatto sta che, dopo, tutti questi personaggi salgono sull’autobus ed entrano quindi a far parte del mio stesso fortunato mondo, di quelli che possono vedere senza essere visti, e perdono ovviamente tutto il loro fascino.

Mi son chiesto quanti altri facciano lo stesso giochino anche con me, quando sono sull’altra sponda, sensibile all’attacco di qualche frugatore di pensieri altrui, ed è per questo che solitamente giro con gli occhiali da sole ben saldi sul mio naso.

Passando ad aspetti più filosofici, arriva sempre il momento, quando incroci persone di una cultura diversa dalla tua, in cui bisogna fare i conti con il desiderio di imparare parole e modi di dire della lingua sconosciuta. E, come tutti avranno avuto modo di sperimentare almeno una volta nella loro vita, le prime parole che vengono insegnate ad un neofita sono banalmente le parolacce.

Così in questa settimana ho fatto incetta di parolacce coreane, più o meno volgari che, a detta di Alex e dei suoi amici, sfoggio con un accento non male, e soprattutto azzeccando le occasioni in cui tirarle fuori. Ma la cosa più divertente è avvenuta quando è stato il mio turno di insegnare loro i vari modi per mandare a quel paese una persona: subito non ho avuto la prontezza di riflessi, quindi il “vaffa” gliel’ho insegnato così, come lo diciamo. Ma quando mi hanno chiesto di più, assetati dall’innocente scurrilità propria di chi sa di dire qualcosa di maleducato ma di cui non capisce in pieno il senso, ho spiegato loro che esisteva un modo ancora più volgare per mandare al diavolo una persona, ma che noi lo usiamo solo quando siamo veramente arrabbiati.

E’ stato così che per un pomeriggio intero si son ripetuti all’esaurimento: “Rosa di Mare”, ridendo come i pazzi e pensando di insultarsi pesantemente. Mi è impossibile descrivervi la mia faccia mentre tutto ciò accadeva. Ero semplicemente incantato ed estasiato dalla forza delle parole e dal messaggio che sono in grado di trasmettere, in un modo o nell’altro e talvolta loro malgrado. Ovviamente non riuscivo a non smettere di ridere nel frattempo, spinto anche dalla loro inimitabile pronuncia della “Erre” che li rende buffi qualsiasi cosa dicano. Che vi devo dire: mi diverto con poco!

Per il resto tutto procede bene. Forse volete sapere come procedono le lezioni di italiano, ma per quello c’è tempo, e sto raccogliendo informazioni degne di essere raccontate in un aggiornamento.

Le news in breve della settimana sono che:

  • Mary ha scoperto che Alex si chiama Alex e non Alec, e si è un po’ incazzata perché glielo poteva dire prima, e gli ha anche tirato una mela addosso, per scherzare ma neanche troppo.
  • Io ho scoperto che il sandwich che avevo mangiato settimane fa pensando al gol di Grosso aveva fatto schifo a tutti i miei amici, e mi son sentito un po’ meno solo. Ho scoperto anche gli ingredienti e vi dico solo che ,tra gli altri, c’era la maionese insieme al prosciutto e ad un azzeccatissimo frullato di mele.
  • I simpatici uccelli di cui vi raccontavo la prima volta li odio e li vorrei uccidere tutti, perché fanno un verso che sembra una sirena stonata e ci tengono a farlo ogni mattina alle sei. Per quanto mi sforzi di renderli parte dei miei sogni, alla fine mi devo arrendere e dar loro la vittoria tra insulti in coreano che tanto non capiscono.

In loro onore il proverbio della settimana per la rubrica “Proverbi italiani che non hanno senso se li dici in Australia” è:

Una rondine non fa primavera.

Baciattutti

Nessun commento:

Posta un commento

Scrivi nel campo bianco il tuo commento. Poi nella tendina seleziona "Nome/URL" e nel campo "Nome" digita il tuo nome. Grazie!