Alle elementari capitava spesso che la maestra di italiano ci desse la possibilità di scrivere un tema libero, anziché darci una traccia su cui riflettere. Insomma avevamo carta bianca e potevamo quindi permetterci di parlare di ciò che volevamo, giocando di fantasia oppure descrivendo i nostri giochi preferiti, o come avevamo passato il week-end, o i posti nuovi che esploravamo e via così. La mia era però quasi sempre una scelta monotematica: non riesco ancora oggi a spiegarmi bene quale sia stata la motivazione, o forse un po’ la immagino, ma quando avevo la possibilità di scrivere quello che volevo la mia attenzione ricadeva sempre e soltanto sul cibo: se il tema era di lunedì raccontavo cosa avevo mangiato la domenica a pranzo, se era un compito da fare durante le feste descrivevo cosa avevo mangiato il giorno di Natale o Pasqua, se il tema era al rientro delle vacanze parlavo di cosa mi aveva preparato mia nonna giù in Sicilia, con pochissime eccezioni che in qualche modo ricadevano comunque su questo argomento. La maestra, allarmata o forse semplicemente stranita dalla mia passione culinaria, di tutto questo ne aveva parlato con mia madre, che ancora l’altro giorno non ha dimenticato di ricordarmelo mentre chiacchieravamo su Skype.
Sapendo di questa mia debolezza, avevo promesso a me stesso di parlare il meno possibile di questo tema durante le settimane passate qui ma, curioso, sono andato a rileggere qualche aggiornamento passato e con incredibile stupore ho constatato di essere ancora afflitto da questa malattia, che io reputo comunque affascinante se non addirittura indispensabile.
Oggi però vi parlo volontariamente del mio rapporto con le pietanze australiane, perché convinto che in qualche modo rappresenti un ottimo riscontro per definire come l’essere umano si possa abituare con incredibile elasticità ai cambiamenti, e plasmare i suoi costumi a seconda delle situazioni che si trova davanti. E provo a spiegarmi meglio. Vi descrivevo, in una delle prime occasioni, come le cene fossero contraddistinte da sostanzialmente due fattori: la velocità con cui si consumavano i pasti e l’assoluta mancanza di piacere nell’assaporare i nuovi gusti. Ebbene, quasi alla fine di questa esperienza, posso dirvi che non solo le mie abitudini si sono conformate alle esigenze, ma anche che riesco ad apprezzare e gustare tutto questo, cosa che mai avrei pensato. I piatti preparati da Mary, che all’inizio mangiavo per il semplice fatto che avevo fame, adesso li riscopro con nuovo stupore, e ne riesco a cogliere anche la loro gradevolezza; la pizza, assaggiata durante i primi giorni e classificata come una delle cose più terribili che avessi mai provato, ora si presenta con rinnovato sapore al mio palato.
Innalzando un po’ l’argomento, tutto questo è per dirvi che forse siamo sempre così attaccati alla familiarità di ciò che ci circonda e contrari ad accogliere il cambiamento e la metamorfosi che le novità possono portare, proprio perché facciamo la guerra per respingere tutto quello che sta al di fuori della linea immaginaria che ci creiamo attorno, o quantomeno non lo cerchiamo, non vogliamo conoscerlo. Non si tratta, mi sembra ovvio, di decidere cosa sia meglio o peggio –nel caso del cibo è chiaro che non vedo l’ora di riabbracciare i nostri piatti!- quanto la consapevolezza di riconoscere che subito al di fuori delle nostre abitudini esiste un mondo che non conosciamo e che mai verrà ad incontrarci se non saremo noi a fare il primo passo. Solamente saggiando anche quello che all’inizio può sembrarci lontano dal nostro modo di vivere la vita potremo infine farci sorprendere dalla sua vicinanza, scoprendoci in grado non solo di accogliere la novità ma anche di portarla dentro il nostro quotidiano, quando riconosciamo che possa essere benefica, finendo sempre e comunque per essere più ricchi di quanto fossimo prima.
Come immaginate, questo per me sta valendo a riguardo di tanti aspetti, e ovviamente non è sempre rose e fiori. Il rischio più grande che ogni volta mi rincorre è la tentazione del paragone: chi vive nel migliore dei modi, chi ha una cultura più giusta, chi è più ricco di valori ecc. Tutte idee, insomma, che determinano, per il solo fatto di averle pensate, una lontananza, una distanza, un “noi e loro”, che non conciliano, non avvicinano ma rimangono lì, a scrutarsi da lontano con la segreta consapevolezza, o almeno speranza, che il mio “io”, in fondo in fondo, sia meglio di tutti gli altri. Ecco quello che sto cercando di combattere con forza da qui, ecco cosa mi spinge ogni mattina a fare tesoro delle differenze e portarle con me come ricchezza, come risorsa e non come strumento di confronto, perché è sempre più vero che ciò che unisce è sempre più di ciò che separa.
Non è chiaramente una lezione di morale, ma piuttosto una delle tante belle consapevolezze che mi sto portando a casa da questa esperienza, e che spero voi abbiate la possibilità di sperimentare senza dover fare venti ore di aereo per scoprirla.
E allora viva le verdure bollite e scondite, viva il burro al posto dell’olio e la pizza con il prosciutto e l’ananas, che però mi guardo bene dal mangiare di nuovo perché, diciamocelo, fa davvero schifo!
Chiudo con le brevi della settimana:
- Sono entrato per la prima volta nella mia vita in un Casinò. L’intenzione era quella di non giocare, poi un mio amico mi ha dato un dollaro da buttare nelle macchinette da un centesimo a giocata. Credo di non aver mai sperimentato una roba più noiosa di quella. Cento giocate di cui non capivo le regole, musichette fastidiose e pulsanti tutti uguali. Ho recuperato il dollaro che ho ridato al mio amico e mi son detto che per fortuna non potrò mai essere dipendente dal gioco d’azzardo.
- Un ragazzo italiano che frequenta un corso per la ristorazione nella mia scuola e che vedo una volta a settimana mi ha regalato un paio di scarpe per fare sport fighissime che lui non usa per gli stanno troppo grandi.
- Avrei mille cose interessanti da raccontarvi sulla Corea e sul Giappone ma me le sto segnando e ve le racconterò poi di persona, se no va a finire che quando torno non mi volete nemmeno vedere perché vi ho già detto tutto da qui!
Il proverbio della settimana, come sempre a tema con l’aggiornamento, per la rubrica “Proverbi italiani che non hanno senso se li dici in Australia” è:
Dei palati uguaglianza non può stare, perciò non s'ha dei gusti a disputare.
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