What if I say you're not like the others?


Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!

lunedì 30 maggio 2011

News from Australia part 12

Molto semplicemente una lista di cose che mi sono piaciute di questa esperienza, che porterò sempre con me come ricordo e preziosa ricchezza:

  • Il profumo della vecchia macchina di Mary: un misto di odori che riconoscerei in mezzo ad altri mille e che mi hanno fatto sentire a casa dal primo giorno.
  • L’esplosione della natura in tutte le sue forme e in modi che non avrei mai immaginato potesse esprimersi.
  • Il tempo dedicato, cercato, voluto per lunghe passeggiate senza meta.
  • Sdraiarmi ogni sera prima di andare a dormire sul giardino di casa a guardare le stelle cadere.
  • Le culture e costumi di giovani ragazzi nostri coetanei di mezzo mondo, di cui ho appreso pensieri, speranze e idee e con cui ho condiviso i miei sogni e un pezzo di strada.
  • Gli spazi giganti di questa terra, che mi hanno fatto sentire minuscolo ma non per questo meno importante.
  • La bassa marea dell’oceano che è sempre qualcosa di magico a cui assistere in silenzio.
  • Leggere, scrivere, pensare, pregare, riscrivere, con la grande fortuna di non dover rincorrere il tempo e dando ad ognuna di queste azioni il solo ritmo della necessità.
  • Aprire gli occhi alle tante incongruenze che mi porto dentro, dar loro un nome e provare ad affrontarle o accettarle da qui in poi.
  • Sentirmi più vicino che mai a voi che con pazienza e bellezza avete accolto le mie parole durante queste settimane.
  • La solitudine difficile di certi momenti, la solitudine arricchente, la solitudine sofferta, la solitudine desiderata, la solitudine affascinante, la solitudine pericolosa, la solitudine evitata di tanti altri.
  • Scoprire nei libri e nella musica compagni di viaggio fedeli e pazienti.
  • Vedere che me la cavo ancora abbastanza bene con una palla da basket in mano.
  • Fermarmi in punto preciso per scattare una foto e poi proseguire.
  • Muovermi sempre con lo zaino sulle spalle, ovunque andassi.
  • Tutti i concerti improvvisati in mezzo alla strada a cui ho avuto la fortuna di assistere.
  • Il colore dell’acqua, dei coralli, dei pesci, degli uccelli e delle nuvole al tramonto.
  • I fumetti dell’orrore che ho letto per capire meglio i dialoghi.
  • Una chiacchierata di tre ore con una ragazza italiana incontrata per caso al molo.
  • Non aver trovato una risposta alla domanda: “Cosa vuoi fare da grande?”. Avevo il terrore che capitasse, in mezzo a tutti questi pensieri.
  • Sapere fin da adesso che sarà un’esperienza fondamentale, ma non capirne a fondo il motivo.
  • I cartelli stradali che ti avvertono di prestare attenzione all’attraversamento dei canguri.
  • Guardare un sacco di film, che mai avrei la voglia di guardare a casa, tipo “Alvin superstar” che ho visto per davvero, per il semplice motivo di vederli in inglese.
  • Sentire la vostra sincera mancanza.
  • La messa in inglese.
  • Farmi paladino e rappresentante dell’Italia nel mondo, con tutte le bellezze e i difetti, suoi e miei.
  • Vedere come esista una sola grande “razza” australiana formata da gialli, neri, bianchi, rossi e verdi che riescono ad andare oltre il colore della pelle e vivere pacificamente o quasi.
  • Sentirmi fortunato e privilegiato, sentimenti che ogni volta che sperimento mi riempiono di responsabilità.
  • Leccare il culo di una formica locale perché ha il gusto del limone.
  • Incrociare lo sguardo di chiunque per strada, per cui la risposta e il dono è sempre stato un sorriso.
  • Gli occhi azzurri e profondi di certi bambini aborigeni che, contrastando con il nero della loro pelle, mi hanno fatto pensare alla perfezione.

Fortunatamente non tutto è sempre stato così piacevole, quindi mi sembra giusto concludere con quello che invece non mi è piaciuto di questo viaggio, e che spero di portare con me come monito e completamento:

  • Gli occhi dei genitori di quei bambini, così pieni di vino e tristezza.
  • Non aver avuto la possibilità di andare pienamente a fondo nelle relazioni, per colpa di una lingua che, per quanto migliorata a livelli di cui mi ritengo ampiamente soddisfatto, ha comunque rappresentato un limite.
  • La birra australiana: troppo frizzante e leggera.
  • La moquette di camera mia, non proprio la prima cosa che associo quando penso alla parola “aspirapolvere”.
  • Il modo di divertirsi dei ragazzi australiani, che prima bevono e poi diventano simpatici.
  • L’assoluta mancanza di storia nelle strade di una città e una nazione troppo giovani. Il passato ricorda da dove vieni e che errori è bene non ripetere, eppure questo concetto sembrano averlo radicato molto più da queste parti che da noi.
  • L’accoglienza, che dicevo prima, di chiunque arrivi, ma che non rispetta e coinvolge chi su queste terre ha vissuto per millenni, discriminato, emarginato e condannato a una vita di serie B.
  • Non aver avuto la possibilità di suonare la chitarra e di giocare a calcio come si deve.
  • L’assoluta mancanza di amore delle giovani madri che ho incontrato sui vari pullman nel rivolgersi ai figli in passeggino che piangevano invano in attesa di essere ascoltati.
  • La vista di un samoano ciccione a torso nudo che ho visto divorare due gelati in altrettanti minuti mentre si infilava le dita nel naso e rideva sguaiato guardando un video su internet. E’ uno dei primi personaggi che ho incontrato arrivando qui, ma difficilmente lo dimenticherò! Ho trovato giusto scrivere anche le cose che non mi son piaciute proprio pensando a lui.

Ovviamente non è tutto, ma è quello che in un’oretta mi è venuto in mente ripensando a caldo a questi mesi. Nel tempo avrò modo di pensare ad altri episodi, aneddoti, pensieri che voi raccoglierete dalla mia viva voce.

Grazie davvero per la vostra attenzione!

sabato 21 maggio 2011

Doppio Haiku

Occhi rossi di
pompelmo nel silenzio
delle candele

La finestra mi
guarda dentro, pensosa,
mentre lavoro.

martedì 17 maggio 2011

News from Australia part 11

La situazione in cui vi scrivo questo penultimo aggiornamento è a grandi linee questa: biblioteca grande e luminosa, un bel sole fuori dalla finestra che scalda il cuore, un leggero mal di testa causato da qualche birra di troppo di ieri sera, e davanti a me alcuni libri di grammatica italiana per studenti inglesi che non so a chi appartengano perché il proprietario non si è ancora fatto vivo. Curioso di sapere chi mi ritroverò davanti, inizio a scrivervi.

Non so bene come dirvi quello che sto per dirvi. Provo a prenderla da lontano, sperando di arrivare dove vorrei. E’ arrivato il momento di raccogliere i frutti di questa esperienza e, con esso, anche il desiderio di condividerlo con voi, perché son certo che saprete custodirlo nel migliore dei modi. Vi riporto di seguito uno dei tanti appunti che hanno accompagnato il mio viaggio e quello che lo ha preceduto. Questo in particolare è di una settimana esatta prima della partenza, e chiarisce abbastanza come mi sentivo, e come in generale mi approccio alle cose nuove.

“Come ci si sente ad una settimana esatta dalla partenza più significativa della vita? Ringrazio molto per la domanda . Provo a rispondere il più sinceramente possibile: mi sento come se dovessi partire tra un anno. Come se tra il Qui&Ora e il momento in cui l’aereo decollerà, lasciando sulla pista, per un tempo definito ma non per questo meno lungo, affetti, cose fondamentali dimenticate, paure mie, paure di chi mi vuole bene e che vorrebbe che mai partissi ed emozioni ancora tutte da scoprire, mancasse ancora una vita. E la mole infinita di preparativi ancora da organizzare è la migliore testimonianza di questa mia riflessione.

La prima grande consapevolezza che mi regala quest’esperienza, ancor prima di iniziare, è il modo assolutamente poco coinvolto con cui mi approccio agli eventi fino al momento esatto che li precede. Mi è venuto il groppo in gola per la mia laurea solamente l’attimo prima di iniziare a discutere la tesi davanti ad una commissione annoiata ma non per questo meno esigente. Sarà così anche per il viaggio. Ci penserò il giorno stesso, arrivando al pelo con le mille cose a cui pensare e da mettere in valigia. E’ così per ogni viaggio, per ogni aspetto della mia vita. Non so dire se sia un bene o un male. Non son sicuro di poter dire con certezza neanche se mi piaccia o meno. Però ho la certezza che questo atteggiamento mi faccia vivere il presente con più serenità.”

Per questo motivo non mi è stato possibile dire a nessuno di voi che avrei sentito la sua mancanza. Solo quando l’aereo è decollato ho potuto realizzare che sarei stato lontano da tutto per tre mesi, e per questo tempo avrei dovuto fare a meno di quello che da sempre mi accompagna. Aggiungo, per correttezza di informazione, che non potevo sapere se ciò che di più caro ho mi sarebbe davvero mancato, o se mi sarei abituato anche a questo, alla mancanza, spinto da altre scoperte, da nuovi orizzonti, da una vita che stravolge il pensiero e per questo può colmare il vuoto che gli affetti lasciano. Questo è per dirvi che mi ritrovo praticamente alla fine di questa esperienza con questa nuova, grande certezza: mi siete mancati un casino! La fortuna che ho avuto fino a qualche mese fa era stata di avere tutte le persone a cui volevo bene vicino, e la conseguente impossibilità di pensare a come sarebbe stato non averle. Un viaggio così lontano nel tempo, con un fuso orario che sembra di viaggiare nel futuro, e nello spazio, senza internet a portata di mano per contattarvi come e quando volevo, mi ha dato la possibilità di capire quanto in realtà sia fortunato ad avervi.

Riconosco che a volte questa condizione possa diventare un problema; quando si vive un’esperienza forzata e non cercata (mi viene in mente il vecchio servizio militare, o un trasferimento per lavoro in un posto che non è il proprio) il rischio è di farsi travolgere dai ricordi, da quello che si lascia, dalla potenza del passato e dall’incertezza di un presente e un futuro non voluti. Ma per quanto mi riguarda la bellezza di questa mancanza si completa di un altro piccolo, indispensabile pezzo: non è stato un sentimento che mi ha bloccato, che non mi ha permesso di aprire il cuore e mente a questa nuova scoperta, ma anzi è stato il motore, la spinta con cui mi sono messo in cammino e per cui torno ricco di tante rivelazioni inaspettate. La certezza, d’ora in poi, di sapere di voler costruire il mio futuro sulla base delle relazioni che più contano è un aspetto che mi riempie il cuore di gioia e mi stupisce allo stesso tempo, perché mai avrei immaginato che questo viaggio potesse rappresentare tutto quello che in queste settimane ho potuto saggiare.

Immagino che per chiunque abbia fatto un’esperienza simile alla mia, tutto questo possa risuonare familiare, in qualche modo scontato, ma ho scoperto che ogni cosa si rivela ancora più vera solo se la se si sperimenta sulla propria pelle. Si può parlare una vita intera dell’amore, o dell’importanza dell’amicizia o della famiglia, ma se poi niente di tutto ciò è accompagnato dalla conoscenza sul campo, dalla verifica in prima persona, rimane un po’ così, sospeso in un limbo tra realtà e possibilità che spinge ad una domanda a cui difficilmente troveremo risposta: “Ma sarà poi vero?”.

Da oggi posso dire che per me è così, e mi appresto a tornare con lo zaino bello pieno di regali.

Chiudo con le attese news in breve, che penso proprio che saranno le ultime:

  • Ho scoperto, dopo due mesi e mezzo, che Mary, da buona discendente della Regina, non sciacqua i piatti dopo averli insaponati. Sapevo che non fosse proprio una campionessa mondiale di igiene, ma porca vacca zozza. Così mi ritrovo di nascosto a sciacquare qualunque cosa usi, anche se temo che dopo tutto questo tempo sia un po’ inutile.
  • Nonostante durante il giorno ci siano costantemente trenta gradi e un sole gigante, ultimamente la notte si inizia a sentire un leggero fresco che ci fa dormire con le finestre chiuse e la copertina addosso.
  • Un paio di ragazzi brasiliani della mia scuola ha organizzato un torneo di calcetto sulla spiaggia, ogni giovedì pomeriggio. Penso proprio che andrò ad insegnar loro un po’ di sano catenaccio estivo.
  • Ho scoperto che il vecchio musicista sgangherato che si mette ogni sabato all’inizio dell’Esplanade, luogo più popolare di Cairns, e strimpella piuttosto male con la sua chitarra pezzi gloriosi, e che qualcuno di voi ha sentito durante le conversazioni via skype, è in realtà una leggenda australiana del blues. Jhonno Jhonsons, o qualcosa di simile. Sabato scorso ha riunito la sua band storica e ha tenuto un concerto gratuito insieme ad altre band blues e folk che io mi sono perso perché ero ad un noiosissimo evento di solidarietà per il Giappone.

Nonostante riceverete ancora un aggiornamento, ho deciso che con questo numero terminerà anche la rubrica “Proverbi italiani che non hanno senso se li dici in Australia”, che tante emozioni ci ha regalato in queste settimane. Vi lascio con uno scelto assolutamente a caso:

Meglio padron d'una castagna che garzon d'una montagna.

P.S. mi sembra doveroso sottolineare che la storia dello zaino pieno di regali è chiaramente una metafora. So che non c’era bisogno di dirvelo, ma io ve lo dico lo stesso.

P.P.S. Lo studente inglese di italiano davanti a me è un signore di una sessantina d’anni. Ora chiudo il pc e gli chiedo un po’…

sabato 14 maggio 2011

News from Australia part 10

Alle elementari capitava spesso che la maestra di italiano ci desse la possibilità di scrivere un tema libero, anziché darci una traccia su cui riflettere. Insomma avevamo carta bianca e potevamo quindi permetterci di parlare di ciò che volevamo, giocando di fantasia oppure descrivendo i nostri giochi preferiti, o come avevamo passato il week-end, o i posti nuovi che esploravamo e via così. La mia era però quasi sempre una scelta monotematica: non riesco ancora oggi a spiegarmi bene quale sia stata la motivazione, o forse un po’ la immagino, ma quando avevo la possibilità di scrivere quello che volevo la mia attenzione ricadeva sempre e soltanto sul cibo: se il tema era di lunedì raccontavo cosa avevo mangiato la domenica a pranzo, se era un compito da fare durante le feste descrivevo cosa avevo mangiato il giorno di Natale o Pasqua, se il tema era al rientro delle vacanze parlavo di cosa mi aveva preparato mia nonna giù in Sicilia, con pochissime eccezioni che in qualche modo ricadevano comunque su questo argomento. La maestra, allarmata o forse semplicemente stranita dalla mia passione culinaria, di tutto questo ne aveva parlato con mia madre, che ancora l’altro giorno non ha dimenticato di ricordarmelo mentre chiacchieravamo su Skype.

Sapendo di questa mia debolezza, avevo promesso a me stesso di parlare il meno possibile di questo tema durante le settimane passate qui ma, curioso, sono andato a rileggere qualche aggiornamento passato e con incredibile stupore ho constatato di essere ancora afflitto da questa malattia, che io reputo comunque affascinante se non addirittura indispensabile.

Oggi però vi parlo volontariamente del mio rapporto con le pietanze australiane, perché convinto che in qualche modo rappresenti un ottimo riscontro per definire come l’essere umano si possa abituare con incredibile elasticità ai cambiamenti, e plasmare i suoi costumi a seconda delle situazioni che si trova davanti. E provo a spiegarmi meglio. Vi descrivevo, in una delle prime occasioni, come le cene fossero contraddistinte da sostanzialmente due fattori: la velocità con cui si consumavano i pasti e l’assoluta mancanza di piacere nell’assaporare i nuovi gusti. Ebbene, quasi alla fine di questa esperienza, posso dirvi che non solo le mie abitudini si sono conformate alle esigenze, ma anche che riesco ad apprezzare e gustare tutto questo, cosa che mai avrei pensato. I piatti preparati da Mary, che all’inizio mangiavo per il semplice fatto che avevo fame, adesso li riscopro con nuovo stupore, e ne riesco a cogliere anche la loro gradevolezza; la pizza, assaggiata durante i primi giorni e classificata come una delle cose più terribili che avessi mai provato, ora si presenta con rinnovato sapore al mio palato.

Innalzando un po’ l’argomento, tutto questo è per dirvi che forse siamo sempre così attaccati alla familiarità di ciò che ci circonda e contrari ad accogliere il cambiamento e la metamorfosi che le novità possono portare, proprio perché facciamo la guerra per respingere tutto quello che sta al di fuori della linea immaginaria che ci creiamo attorno, o quantomeno non lo cerchiamo, non vogliamo conoscerlo. Non si tratta, mi sembra ovvio, di decidere cosa sia meglio o peggio –nel caso del cibo è chiaro che non vedo l’ora di riabbracciare i nostri piatti!- quanto la consapevolezza di riconoscere che subito al di fuori delle nostre abitudini esiste un mondo che non conosciamo e che mai verrà ad incontrarci se non saremo noi a fare il primo passo. Solamente saggiando anche quello che all’inizio può sembrarci lontano dal nostro modo di vivere la vita potremo infine farci sorprendere dalla sua vicinanza, scoprendoci in grado non solo di accogliere la novità ma anche di portarla dentro il nostro quotidiano, quando riconosciamo che possa essere benefica, finendo sempre e comunque per essere più ricchi di quanto fossimo prima.

Come immaginate, questo per me sta valendo a riguardo di tanti aspetti, e ovviamente non è sempre rose e fiori. Il rischio più grande che ogni volta mi rincorre è la tentazione del paragone: chi vive nel migliore dei modi, chi ha una cultura più giusta, chi è più ricco di valori ecc. Tutte idee, insomma, che determinano, per il solo fatto di averle pensate, una lontananza, una distanza, un “noi e loro”, che non conciliano, non avvicinano ma rimangono lì, a scrutarsi da lontano con la segreta consapevolezza, o almeno speranza, che il mio “io”, in fondo in fondo, sia meglio di tutti gli altri. Ecco quello che sto cercando di combattere con forza da qui, ecco cosa mi spinge ogni mattina a fare tesoro delle differenze e portarle con me come ricchezza, come risorsa e non come strumento di confronto, perché è sempre più vero che ciò che unisce è sempre più di ciò che separa.

Non è chiaramente una lezione di morale, ma piuttosto una delle tante belle consapevolezze che mi sto portando a casa da questa esperienza, e che spero voi abbiate la possibilità di sperimentare senza dover fare venti ore di aereo per scoprirla.

E allora viva le verdure bollite e scondite, viva il burro al posto dell’olio e la pizza con il prosciutto e l’ananas, che però mi guardo bene dal mangiare di nuovo perché, diciamocelo, fa davvero schifo!

Chiudo con le brevi della settimana:

  • Sono entrato per la prima volta nella mia vita in un Casinò. L’intenzione era quella di non giocare, poi un mio amico mi ha dato un dollaro da buttare nelle macchinette da un centesimo a giocata. Credo di non aver mai sperimentato una roba più noiosa di quella. Cento giocate di cui non capivo le regole, musichette fastidiose e pulsanti tutti uguali. Ho recuperato il dollaro che ho ridato al mio amico e mi son detto che per fortuna non potrò mai essere dipendente dal gioco d’azzardo.
  • Un ragazzo italiano che frequenta un corso per la ristorazione nella mia scuola e che vedo una volta a settimana mi ha regalato un paio di scarpe per fare sport fighissime che lui non usa per gli stanno troppo grandi.
  • Avrei mille cose interessanti da raccontarvi sulla Corea e sul Giappone ma me le sto segnando e ve le racconterò poi di persona, se no va a finire che quando torno non mi volete nemmeno vedere perché vi ho già detto tutto da qui!

Il proverbio della settimana, come sempre a tema con l’aggiornamento, per la rubrica “Proverbi italiani che non hanno senso se li dici in Australia” è:

Dei palati uguaglianza non può stare, perciò non s'ha dei gusti a disputare.

martedì 10 maggio 2011

News from Australia part 9

Sienna ha sei anni, due grandi occhi azzurri, lunghi capelli biondo grano, un faccino bello tondo e un sorriso fatto di tanti piccoli dentini. Ha perso il padre quando aveva due anni e la madre lavora fino a tardi in un salone di bellezza. Sua nonna era una grande amica di infanzia di Mary ed è per questo motivo che io e Alex ce la ritroviamo a casa al ritorno da scuola due o tre volte a settimana. Sienna passa l’intera giornata con Mary e insieme vanno a fare la spesa, giocano, nuotano nella piscina di casa, fanno i compiti e preparano ottimi biscotti al cioccolato o con l’uvetta che poi io e Alex facciamo fuori con allegria.

Quando torniamo a casa Sienna sente i nostri passi dalla strada e allora ci corre incontro e salta in braccio al primo che gli si presenta davanti, mentre l’altro si deve accontentare di un abbraccio alle gambe e di un bacio sulla guancia. Capita spesso di trovarla in casa anche durante il week-end e lì son dolori, perché una giornata intera passata con quest’uragano ti sfinisce peggio di una gara di lotta greco-romana.

E’ difficile descrivervi l’educazione e la gentilezza di questa bambina. Non piange mai, si lamenta pochissimo, qualsiasi gioco le proponiamo diventa per lei la cosa più divertente del mondo. L’aneddoto vi farà capire: un sabato sera di qualche settimana fa, io e Alex eravamo stravolti da una giornata passata in sua compagnia mentre lei sprizzava ancora energia come un vulcano. Mancava ancora mezz’ora all’arrivo di sua madre e ad Alex, cinico e arguto come solo un coreano sa essere, è venuta la geniale idea di proporci l’ultimo gioco della giornata: il gioco “di guardare in silenzio la tv” con l’unica regola di non parlare, pena la squalifica e la sconfitta. Ridacchio e guardo Sienna che ricambia lo sguardo con i suoi occhi furbetti e dice: “Va bene, mi sa che vincerò”. Iniziamo la gara e, con ritrovata calma, ci piazziamo sul divano a gustarci le succose news locali. Dopo cinque minuti di assoluto silenzio, Sienna si alza, va in cucina, beve un sorso d’acqua, poi ritorna e si piazza a guardare la tv ad un metro di distanza, con braccia e gambe allargate a stella, così da non permetterci di vedere niente. Dimenticandoci del gioco, io e Alex protestiamo sonoramente chiedendole di spostarsi. Credo che la mezz’ora successiva l’abbia passata a ridere e ballare come una pazza, prendendoci in giro perché aveva vinto il gioco in soli cinque minuti.

Mary con lei è molto severa e la richiama per qualsiasi cosa faccia di sbagliato, chiedendole di ringraziare, di salutare quando va via, di domandare sempre per favore e mangiare composta a tavola. La sua unica regola nei nostri confronti è di non entrare nelle nostre camere. Così, se deve venire a chiamarci per la cena o per andare a giocare con lei, bussa alla porta, si affaccia solo con la testolina e aspettata la risposta pazientemente in corridoio. Quando fa lunghi discorsi, raccontandoci di quello che le capita quando non è con noi, difficilmente riusciamo a capire il senso delle sue parole, quindi ci limitiamo o a ridere o a dire sì o a farle il solletico, e questo per lei è più che soddisfacente.

Passando ad altro, so che siete stati tempestati anche voi da questa notizia e immagino il vostro poco interesse a riguardo, ma mi è davvero impossibile non parlarvi delle nozze del principe d’Inghilterra. Direte: “Adesso che c’azzeccano William&Kate con la terra dei canguri?”. Ricordandovi che l’Australia è di fatto una colonia inglese e, per dire, il primo ministro deve rispondere del suo operato di fronte alla Regina, vi descrivo brevemente come è stato vissuto l’atteso matrimonio da queste parti. Per una beffarda coincidenza dovuta al fuso orario, l’inizio della cerimonia è coinciso perfettamente con il prime time televisivo, ovvero la fascia serale, dove dappertutto almeno una televisione in casa viene accesa. Sui quindici o sedici canali disponibili, sette, dico sette, di essi sono stati dedicati alla diretta dell’avvenimento, dall’arrivo dei primi invitati al giro in carrozza nuziale dei neo-sposi, con uno stuolo di giornalisti, inviati, opinionisti e ospiti d’onore che noi riserviamo solo ai mondiali di calcio. Insomma, ad ognuno il suo.

Fatto sta che Mary, nonostante mi avesse detto di non essere molto interessata alla faccenda, ha seguito per intero la diretta e mi ha chiamato, mentre stavo leggendo in camera, per assistere e commentare insieme a lei all’arrivo del principe e di suo fratello.

Poi sono uscito un po’ con i miei amici e, arrivato al club più popolare di Cairns (ricordate il Gilligan’s del primo aggiornamento?), non volevo credere ai miei occhi. Davanti al maxi-schermo, di solito utilizzato per trasmettere partite di football durante il giorno e video musicali in serata, si stava consumando l’ennesima, incomprensibile stranezza: una marea di ragazzi con birra in mano che, chi in silenzio chi commentando o ridendoci su, guardava William promettere a Kate amore eterno in ricchezza e “povertà”.

Sensazionale, ma oggettivamente troppo!

Comunque anch’io ammetto di essermi fatto coinvolgere da questa atmosfera e in settimana ho seguito un’intervista del principe che confessava che, per l’allestimento della cerimonia e per la cura dei particolari, si è ispirato ad un matrimonio avvenuto a fine febbraio in una piccola chiesa della periferia torinese.

Sarà, ma lui tra gli illustri invitati non ha avuto nessun giocatore del Between.

Le brevi notizie della settimana questa volta ci raccontano che:

  • Ho individuato, grazie a Mary e al cielo stellato e senza luna di queste sere, la famosa “Croce del Sud”. Devo dire che, dopo averne letto in storie e romanzi, trovarmela davanti è stata un’emozione non da poco.
  • L’Australia, terra selvaggia e nota per i suoi pericolosi e mortali animali, si rivela anche terra dotata di un certo macabro senso dell’umorismo: le probabilità di morire per un attacco di squali o per un morso di serpenti sono sette volte inferiori alla possibilità di morte causata da una noce di cocco che ti cade sulla testa.
  • I Taipans, squadra di basket locale, ha perso due giorni fa la finale del campionato australiano con una squadra…neo-zelandese! Ed erano giustamente un po’ tutti incazzati: per dire, è come se l’Inter, dopo aver battuto tutte le squadre italiane andasse a Malta e perdesse contro La Valletta.

Vi lascio come sempre con la rubrica “Proverbi italiani che non hanno senso se li dici in Australia”, anche se dopo la perla dell’altra volta tutto mi sembra più grigio:

Chi per amor si piglia, per rabbia si scapiglia.