What if I say you're not like the others?


Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!

giovedì 29 aprile 2010

Sonno

Momenti di sonno artificiale, che sa di sedazione, in cui sei protetto e nulla può violarti

si alternano a momenti di dolorosa coscienza nei quali percepisci i lividi, pur non riuscendo a ricordarne esattamente la causa che li ha provocati.

Corpi dalla breve memoria, conserviamo nei riflessi automatici le conseguenze delle azioni subite o compiute.

Traditrici fitte svelano il tuo sommario tranello, quando un frammento di ricordo che non riconosci come tuo sposta l'immaginario telo.

Ancora una volta allunghi una tremante mano e spegni la luce.

In fondo è solamente un'altra, lunga notte.

lunedì 26 aprile 2010

Fly One Time - Incontro


I luoghi di intenso passaggio mi hanno sempre incuriosito ed attratto.
Incroci, piazze, stazioni, aeroporti... Spazi in cui la gente si riversa e si incrocia: luoghi-simbolo dell'enorme numero e varietà di potenziali incontri che ognuno di noi può fare nel corso della sua vita.

Oggi mi trovo in quello che ogni addetto ai lavori riconosce come l'aeroporto più trafficato del mondo. Le piste dell'Hartsfield-Jackson Atlanta International Airport sono bollenti talmente alto è il flusso di aerei che passano da questo cruciale scalo delle aerovie statunitensi e mondiali.


Mi trovo nel Concourse C, il terzo dei sei terminal di cui è provvisto questo aeroporto e sto aspettando la mia coincidenza per Seattle. Condivido la posizione di "passeggero in transito" con tutte le altre persone in attesa in questo lunghissimo corridoio e, avendo un po' di tempo a disposizione, con calma osservo i miei vicini.

Alla mia destra siede un anziano signore che sembra essersi appena appisolato. Pantaloni beige tenuti alti alti da un bel paio di bretelle, camicia a righe rosse e blu, grandi occhiali da vista ed un rigoroso cappellino da baseball con la visiera perfettamente orizzontale sono la sua tenuta. Al suo fianco, vigile e fedele, una canuta signora dalla carnagione chiarissima con dei grandi occhi blu che scrutano i monitor alla ricerca di qualche notizia sul loro aereo.

Squilla un telefono. E' il mio. Rispondo brevemente per confermare che sarò a Seattle entro sera, pronto domattina a volare fino a Los Angeles.
Rimettendomi il telefono in tasca mi rendo conto di aver svegliato il signore, che ora mi guarda placido.
Dispiaciuto per aver interrotto il suo riposo in una giornata faticosa, mi scuso con lui e gli chiedo di raccontarmi del suo viaggio.

Scopro così che questo splendido signore di 92 anni si chiama Derald ed insieme a sua moglie Connie sta tornando in Nebraska dopo aver partecipato al matrimonio di una nipote ad Orlando, Florida.
Derald e Connie vivono a Geneva, una cittadina di circa duemila abitanti nel Nebraska sudorientale.
Sono affascinato dalla parlata lenta di questo pacifico signore, che inizia a poco a poco, con un lieve affanno nella voce, a raccontarmi la sua vita.
Ogni tanto qualche parola mi sfugge, nascondendosi negli anfratti del fumoso dialetto del Nebraska, ma non importa, perchè quest'uomo mi dà subito l'impressione di essere felice di condividere con me questo momento. E tanto basta.

Derald dice di essere figlio unico, "per questo sono così viziato" soggiunge con un grande sorriso. "In realtà", mi confida, "avrei avuto una sorellina, ma purtroppo è mancata alla nascita".
E' nato a Shickley, Nebraska, a soli 15 km da Geneva.
Suo padre aveva una fattoria e gli affari andavano abbastanza bene, così lui fu il primo ragazzo del paese ad avere una macchina. Il padre gli dava i soldi per 5 galloni di benzina alla settimana: abbastanza per andare e tornare da scuola e, risparmiando sui km, portare la sua ragazza in giro il sabato sera, mi dice ridendo.

Gli chiedo quali fossero i suoi sogni da giovane: "Avere una fattoria. E sposarmi. Li ho realizzati tutti e due". Si è sposato con Connie nel 1938, "abbiamo da poco festeggiato 72 anni di matrimonio", dice guardandomi con occhi luminosi e cingendo teneramente con un braccio la sua sorridente signora.
Mi racconta di una vita fatta di duro lavoro nei campi, senza considerare se fosse sabato o domenica, "perchè la terra a queste cose non bada" e descrive con dovizia di particolari la loro casa ed il giardino di cui va molto orgoglioso: lo cura ogni giorno e riesce ancora a tosare l'erba.

Guarda Connie e mi dice: "Abbiamo sempre lavorato insieme, io e lei, ed abbiamo costruito tanto. Siamo sempre stati vicini, amici, senza segreti.
Io sono una persona normale, sto bene con gli altri e mi diverto in compagnia.
Non ho mai bevuto, non ho mai fumato, non ho mai giocato d'azzardo.
Penso di aver vissuto una vita abbastanza austera.
Ma sono felice"

Derald mi guarda, chiude gli occhi per un attimo e fa un respiro profondo.
Ed io con lui.

giovedì 22 aprile 2010

Déjà vu / Jamais vu

Sei stanco. Stanco nel senso di stufo, ne hai abbastanza. Da quando hai memoria, sei alla ricerca di qualcosa per riempire il vuoto che senti dentro. Hai provato in tutti i modi a colmarlo e hai sempre fallito. Getti la spugna. Inizi a lasciare andare ogni cosa, smetti di combattere. Posi la spada, ti spogli dell'armatura, liberi il fedele destriero, compagno di mille battaglie contro i mulini a vento. E' la tua resa. Non vuoi più sforzarti in nulla. Ti siedi in panchina e guardi. Inizi ad osservare le vicende esterne, nel mondo, e interne, nel tuo corpo, senza immischiarti in esse. Osservi, non cerchi di contrastarle, diventi il guardone delle trame del fato. Inspirazioni, espirazioni, battiti del cuore, contrazioni muscolari involontarie, spasmi addominali, tremori. Pensieri, ricordi, scivolano via così. Magicamente, piano piano, senza neanche accorgertene, ti ritrovi con una mente bucata come un colabrodo. Incapace di riempirsi di qualcosa, capace di lasciar passare via tutto. La testa come un buco. Un giorno ti svegli, ti alzi, e tutto ciò che vedi ti pare di vederlo per la prima volta. Jamais vu. Non sai come sei arrivato in questa situazione, ..... non lo ricordi. Prendi in mano un libro che hai già letto molte volte, o almeno così ti sembra, e senti che tutto il suo contenuto scivola via quando tenti di richiamarlo. Déjà vu. Non hai ancora dimenticato come si legge, ma poco ci manca. Guardi un film, ascolti una canzone. Roba vecchia, qualcosa nella testa ti dice che forse una volta hai già avuto a che fare con tutto ciò. Ogni sforzo è vano, sopratutto perchè hai perso l'attitudine a sforzarti. Potresti ascoltare mille volte di seguito la stessa storia, e ogni volta sarebbe emozionante come la prima. Ascolti una canzone e ad essa non è associato nessun ricordo o pensiero. Ascolti la canzone e c'è solo la canzone, libera da ogni interpretazione o significato. Che magia quel sovrapporsi e susseguirsi di suoni! Quella sensazione che chiamavi noia non esiste più.... o forse non è mai esistita, mah.... in realtà non ricordi. Per te è tutto nuovo, sempre. Guardi quello che ti si presenta fuori dalla finestra e, ogni volta, è indescrivibile. Per raccontare quello che vedi non ci sono parole .... almeno nella tua testa. Il dizionario sì è ridotto all'osso, hai lasciato andare via le parole e i significati. In questa nuova ottica vedi chiaramente che nessun vocabolo è in grado di descrivere un oggetto meglio dell'oggetto stesso. Probabilmente penseresti: "descrivere a parole, che vano sforzo!"; se solo non ti fossi dimenticato che cosa significa sforzo. Poi passi davanti allo specchio e vedi la tua immagine riflessa. Ti rendi conto del tuo aspetto esteriore, ed è uno shock. Che prodigio lo.... specchio?!? Nel riflesso ti tocchi una guancia, fai qualche smorfia, un paio di boccacce, infine un sorriso a trentadue denti. Sei ridiventato pericolosamente innocente.
Se fossi un concorrente di un telequiz, saresti il primo a tornare a casa. Saresti contemporaneamente la delusione di chi ti vorrebbe vincente e la gioia di chi invece vorrebbe vincere. Non è fantastico!? Con aria perplessa aggrotti la fronte e con un dito ti gratti la tempia...., l'ultimo tentativo di quella cosa..., lo sforzo.... Mah.... vincere, perdere...., hai l'impressione che queste parole non ti dicano niente. Non più.

martedì 20 aprile 2010

Sole II

Al mattino presto, sul prato si appoggia una fitta nebbia. Una coltre bianca spessa un metro che non si sa da dove venga né dove vada poche ore dopo.
Disteso e immobile il prato, distesa e immobile la nebbia, disteso e immobile io nello strato che li divide e che forse neanche esiste.
Gli occhi chiusi, il respiro lento.
Sento l’aria entrare fresca nei polmoni e uscire calda un istante dopo dalle narici.
Sento il cuore che impone il suo ritmo regolare e zoppicante. Avverto il sangue che non si stanca di scorrere nelle arterie e nelle vene. Lo posso sentire. Nelle tempie, nel collo, nei polsi. Anche l’addome si muove al ritmo della circolazione, mescolando questa danza con quella provocata dal respiro.
Sono vivo.
Eppure non vivo.
Se aprissi gli occhi vedrei solo la nebbia, ma so che non c’è soltanto lei.
Non so da quanto tempo mi trovi qui, mesi, anni, forse da sempre. Quello che so è che avevo scelto questo prato e questa nebbia per un motivo preciso: era l’unico posto in cui potessi nascondermi dal sole.
Al mattino presto, sul prato si appoggia una fitta nebbia. E’ l’unico ostacolo che i raggi del sole non riescono a superare, è l’unico posto in cui posso aprire gli occhi senza restare accecato.
Pazienza e costanza. E’ così che il sole ha continuato a scaldarmi. Quando si alza una brezza leggera a spazzare la nebbia, il sole mi trova e mi ricorda la sua presenza. E anche quando la nebbia resiste per un mese intero, il suo calore riesce a penetrarla e a raggiungermi senza che me ne accorga. Il sole è sempre stato lì, paziente e costante.
Sono vivo.
Eppure non vivo.
Pensavo che senza sole potessi vivere meglio. Ma adesso ho cambiato idea.
Quando, in passato, avevo provato ad aprire gli occhi verso il sole, le ferite e le bruciature s’erano fatte sentire a lungo e avevo capito che era meglio evitare di scottarsi. Adesso, invece, ho deciso che senza bruciarmi non posso vivere. Senza sole, resterei sempre disteso qui, su questo prato, sotto questa nebbia.
Al mattino presto, sul prato si appoggia una fitta nebbia. E tutti dicono che è grazie a questa nebbia che vivo. Io, invece, penso che è per colpa sua che non vivo.
Dopo aver messo in buone mani la mia decisione di abbandonarmi al sole, aspetto che la brezza leggera mi esponga ai suoi raggi.
Ecco, ora lo sento spingere sulla mia faccia e sul mio corpo, mi chiede di guardarlo.
Apro gli occhi, apro le mani, apro il cuore. Lo fisso con determinazione e mi preparo al fuoco.

lunedì 19 aprile 2010

Fly One Time - Battito d'ali


A terra.
Non si è volato ieri, non si vola oggi, forse non si volerà domani.
Grigia, impalpabile e minacciosa, la nube grigia di cenere vulcanica aleggia sopra le nostre teste, perfettamente collocata tra i 6'000 ed i 10'000 metri, sulle autostrade del cielo.


L'aeroporto di Edimburgo è completamente paralizzato.
I suoi provvisori abitanti si trovano all'interno di un irreale limbo, in attesa che qualche ancestrale divinità vichinga decida di placare la furia del vulcano.


Decido di fare un giro sulla pista per controllare che i reattori del mio aereo siano stati correttamente coperti e sigillati. Auspicabilmente nel pomeriggio di domani potremo partire per Copenhagen.


Tornando verso il terminal vengo incuriosito da un tranquillo operatore aeroportuale assorto nella lettura di Metro Edinburgh.
Attraverso la deserta pista di rullaggio e lo raggiungo mentre, con il suo duro accento scozzese, farfuglia tra sè e sè parole incomprensibili: “Efiathal... Eiaflatakut...”
Si ferma, sospira, si passa la mano tozza sulla lattiginosa fronte già scottata dal sole e mi guarda cercando un aiuto.
“Come diavolo si pronuncia?” mi chiede, indicando un punto del foglio.

Eyjafjallajökull, l'impronunciabile vulcano islandese grazie al quale ci troviamo a chiacchierare nel punto in cui normalmente scorrono le enormi ruote dei jet di linea.
Gli sorrido, gli do una pacca sulla spalla e guardo il cielo dietro di lui, verso Nord.

Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo.
Così mi trovo ad osservare che, alla fine, l'imprevedibilità può essere affascinante.

Non la penserà allo stesso modo il Presidente, ma tant'è.

lunedì 12 aprile 2010

Fly One Time - Colori


“Un pot-pourri da trentadue milioni di passeggeri l'anno...”
L'intensa luce del tramonto dà colore al vetro ed all'acciaio e mi illumina gli occhi.
Sospinto dai miei pensieri cammino lentamente per il lunghissimo corridoio principale del Terminal 2 del Munich Franz Joseph Strauss Airport.



Passeggio ed incrocio lo sguardo di uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo: un'anziana ed energica signora americana in cerca del gate della Delta per Atlanta, un frettoloso uomo d'affari in partenza per la Cina, una giovane coppia tedesca decisa a gustarsi lentamente ogni attimo del suo atteso viaggio, una colorata famiglia italiana che non nasconde il suo disappunto per il ritardo del volo Alitalia per Roma...


Ogni grande aeroporto del mondo può essere visto come luogo di incontro e fusione etnica e culturale: un frenetico, brulicante miscuglio di Europei, Asiatici, Sikh, Marocchini, Colombiani, donne arabe dal volto velato.
Naturalmente è un'illusione, un'integrazione fasulla che dura esattamente fino a quando l'ultima chiamata alle uscite costringe di nuovo quella massa a dividersi per colore e religione. Ma mentre le sale d'imbarco si riempiono e le file dei check in ondeggiano, l'immagine è quella di un nirvana multiculturale che farebbe piangere di gioia qualsiasi intellettuale di sinistra.


L'architettura degli aeroporti: noiosa e monotona per alcuni, esaltante per altri. Quando atterro in Germania, a Monaco, Berlino o Francoforte, resto sempre piacevolmente stupito dalla pulizia, dalla cura dei particolari e dall'accoglienza delle strutture aeroportuali. Asettiche?
Direi piuttosto perfettamente funzionali ed eleganti.

“Efficienza, design e comodità” penso, ricordando che l'aeroporto di Monaco è stato recentemente nominato miglior aeroporto europeo e terzo miglior aeroporto del mondo.
Linee e colori inattesi ti avvolgono e ti conducono splendidamente nell'esperienza del viaggio: il futuro è qui!



Dopo circa un chilometro di piacevole passeggiata lungo il Terminal 2 giungo alla Lounge piloti PP International Airlines: la compagnia ha scelto una splendida posizione per la sua sala privata, arredata con gusto e moderna eleganza, in linea con gli standard locali.
Facendo scorrere l'ampia vetrata di fronte a me, accedo ad un terrazzo con vista sulle piste e sull'intero aeroporto.
Rumoroso, sì, ma di gran fascino!



Il volo PP 3487 per London City Airport partirà tra circa tre ore: ho una mezz'oretta di tranquillità a disposizione.
Chiamo casa e gioco un po' con la vocina curiosa che risponde all'altro capo del telefono: diventa sempre più bravo, riesce ad indovinare il tipo di aereo dal rumore che fa quando decolla...
Orgoglioso, saluto lui e la sua tenera mamma e do loro appuntamento a domattina.


In piedi sul terrazzo in cima al Terminal 2 dell'aeroporto di Monaco osservo silenziosamente il flusso degli aerei che, ordinati, si preparano a solcare i cieli della Baviera rombando verso le loro remote destinazioni sparse per il mondo. E sono ancora una volta affascinato dalla poesia del volo.
Perchè, come vi dirà qualunque appassionato di volo, “è la partenza che conta”.



giovedì 8 aprile 2010

Anima

Adesso l'anima è troppo morbida, malleabile. Qualsiasi ferita essa riceva o da qualunque cosa essa venga colpita, torna inesorabilmente alla forma iniziale.

Non conserva memoria alcuna dei torti ricevuti, nè diventa più guardinga, o diffidente. Nemmeno la prudenza riesce ad imparare.

Prendila, esponila al freddo, affinchè essa diventi gelata.

E quando il freddo l'avrà tramutata in duro ghiaccio colpiscila.

Allora finalmente potrà essere distrutta.

martedì 6 aprile 2010

Hide & Sick



1, 2, 3....
con fanciullesco entusiasmo m'incammino
furtivo e pronto allo scatto.
Dietro ogni angolo un pensiero da acciuffare,
sotto ogni scala un trucchetto da smascherare,
aldilà di ogni tenda una voce misteriosa da svelare.
Nessun inseguimento, nessuna preoccupazione,
prima che qualcosa dica 'tana'
sarò già lì per l'abbraccio mortale.
Un sorriso, amorevole vivisezione del mio cuore, eutanasia mentale.
Ora che ci penso non è proprio nascondino.....
è più .....voglia di qualcosa di buono.
Con la sete di un sangue che non può scorrere
sorrido alla luna e, con la lingua, mi accarezzo i canini.

venerdì 2 aprile 2010

Giano - Sconfitta

Accetta                                                        Nega
ciò che non puoi cambiare                          l'evidenza
mantieni la calma                    strappati vesti e capelli
sorridi                                                             urla
stringi la mano                                   giura vendetta
al tuo avversario                                  al tuo nemico
non dimenticarlo                               non dimenticarlo
cambia il mondo                                       rassegnati