What if I say you're not like the others?


Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!

martedì 6 dicembre 2011

La commedia del Natale

Le luci di Natale che illuminano il Borgo riflettono tutto l'intricato artificio e la sofisticata finzione di questo Natale. E di tutti i Natali.

Nell'aria risuonano i passi veloci della gente che sembra inseguire solo se stessa dietro all'ultimo regalo, o al primo. La gente che cammina senza fermarsi a guardare, a respirare, la gente che si nasconde sotto queste luci, che nasconde uno sguardo spento, che nasconde una finzione.

Tutti parlano, al telefonino. E nessuno parla. Nessuno si domanda. Nessuno si arrabbia. Tutti recitano perfettamente il copione del Natale. Comprano regali, vanno sempre più di fretta, e comprano i biglietti, quelli più piccoli, con solo lo spazio per gli auguri e non una parola di più. Questo potente rito commerciale, povero proprio perchè ostenta ricchezza e imperativi di consumo, inautentico perchè uguale dappertutto, chiassoso nell'esteriorità ma silenzioso ai cuori, ecco questo Natale ha cancellato il Natale. Quell'altro. Quello fatto di piccole cose, di parole vere, di una tavola che non conosce sprechi, quello che in fondo vorrebbe mettere in discussione la gigantesca macchina frenetica della finzione.

Non il Natale buonista, paternalista, moralista. Non il Natale precario, quello appeso ad un filo sottile.

Una zingara sui gradini della Chiesa non ha nemmeno più voglia di chiedere l'elemosina. L'uomo che vende le caldarroste sorride solo quando si avvicina qualche cliente, se no guarda immobile il fumo delle castagne che sale per sparire offuscato dalle luci.

I passi sono sempre più veloci, sempre più rumorosi, le voci sempre più uguali. Voci di una tristezza profondamente sola e solitaria, unica vera protagonista di questa commedia diretta male.

venerdì 4 novembre 2011

La monarchia inadeguata

La regina è seduta su una poltrona elegante e guarda con sospetto e riprovazione quei ragazzi che stanno in fila sorridenti davanti a lei. Perché la regina deve sedersi su una poltrona? Sente la mancanza del trono del Palazzo reale. Un simbolo antico del suo potere, del suo prestigio che oggi è rinnegato da questa poltrona. Chissà in quanti ci si sono seduti.
Sorride agli studenti ma in realtà li commisera: sembrano degli straccioni nelle loro divise scolastiche, non hanno grazia, nei loro modi e nel loro chiacchiericcio non c’è il rispetto ossequioso che tutti i sovrani in passato hanno ricevuto dai loro sudditi. Un tempo una regina non avrebbe dovuto essere costretta ad incontrarli nelle visite ufficiali.

Commisera soprattutto l’impossibilità di mostrare apertamente il suo disprezzo. Ma che cosa è cambiato? Perché è costretta a sopportare tutto questo? Lei è la regina!

Le mani che sono protette dai guanti bianchi dalla sporcizia del mondo si irrigidiscono e lasciano trapelare il nervosismo dietro cui si nasconde la sua riprovazione. Arrivano vicino a lei due bambine con un mazzolino di fiori. Che orrore! È un affronto! Sono miseri fiorellini di campagna degni dell’ultima contadinella, non si possono offrire ad una regina! Ma deve sorridere, deve ringraziare, mostrare persino gratitudine. Deve toccarli, prenderli in mano, resistere alla tentazione di sbatterli in terra e urlare.

Sorride con lo sguardo severo. Prende tra le mani il primo mazzolino, avendo cura di non sfiorare nemmeno con i suoi guanti bianchi le mani della bambina. Lo accosta al suo vestito, per mostrare come siano delicati raffinati i fiorellini lilla della sua giacca. Ecco il suo rimprovero, il suo ammonimento: questi sono fiori, non i vostri.

Le bambine ridono tra di loro mentre si allontano. Possibile che non si siano accorte del tacito rimprovero? Possibile che non si siano rese conto della loro inadeguatezza e della loro miseria? No, nessuno se n’è accorto. Quel gesto così impertinente è accolto con incomprensibile accondiscendenza da tutti.

Nessuno ha vero rispetto per la regina. Se ce l’avessero non si avvicinerebbero così a lei.

I suoi sudditi non sanno più cosa significa essere sudditi, venerare la propria sovrana, prodigarsi per compiacerla e ammirarla. Da lontano.

Con questa favola dei diritti, in certi giorni si sentono addirittura cittadini. Poveri stolti, non capiscono che tutti i loro diritti, la loro bella Costituzione, sono stati un regalo. Pensano di essersela conquistata. Di essersela meritata. Ed ora davanti alla loro regina si comportano come se stessero davanti ad una celebrità qualsiasi.

Non sono veri sudditi. E quindi lei non è più una vera regina. Ha il suo trono, ma solo a Palazzo reale, i suoi gioielli preziosi e i vestiti raffinati. Ma la corona gliela lasciano mettere solo nelle occasioni importanti. Tenerla sempre non sarebbe in armonia con i tempi di oggi. I tempi di oggi! Ma i tempi di oggi dovrebbero essere quelli della regina! Scanditi dai suoi passi sul marmo, dai suoi gesti, dalle sue parole. E invece sono i suoi gesti ad essere scanditi in base a quelli dei sudditi. Le visite alle scuole, agli ospedali, alle Fondazioni. Lei non avrebbe mai deciso di andarci.

Questo mondo non è degno della sua regina. E soprattutto non si accorge di non esserne degno. È un mondo sbagliato, inadeguato, abietto.

Lo sguardo della regina si infiamma. Non può dire niente. È la regina e non le è concesso esprimere questa banale e inesorabile verità.

Il ministro dell’Istruzione la guarda e pensa che sia lei ad essere così inadeguata per il mondo. Mentre ostenta la sua regalità solo nei suoi guanti bianchi e nei fiorellini sul suo vestito.

È un affresco antico che stride con lo sfondo in cui si muove. C’è una parola impronunciabile: è inadeguata. Per il suo tempo. Per il suo mondo. Per i sudditi che ogni tanto si sentono cittadini.

La sua figura opaca si mostra ancora più sfumata mentre cerca disperatamente di essere una vera regina. Ma è tutto inutile: in questo mondo non c’è più posto per lei.

mercoledì 26 ottobre 2011

Cosa resta dopo il terremoto

Davanti agli occhi, solo le macerie. Immobili. Pesanti. Una furia devastatrice ha lasciato dietro sé l’ombra della morte. E il suo odore.
La città non è più una città: le strade sono ormai cumuli di rovine attraversati dal fango, le case sembrano un quadro che ritrae la vanità piegata e asservita. Tra la polvere e i mattoni rovinati, si riescono a scorgere dei fiori. Non sono diversi da come dovevano apparire prima: ora sono solo più veri. Feriti e recisi in mezzo alle rovine ugualmente ferite. Fino a ieri illuminavano una stanza, avevano un posto preciso nell’ordinata sistemazione della vita non ancora sconvolta. Dopo la scossa della terra da cui erano stati tolti, sono più belli. Sono il simbolo della tragedia, della distruzione, di ciò che cerca disperatamente il proprio posto anche sul palco fatto di macerie, in attesa di un pubblico invisibile che non arriverà. Sono come tutte le altre cose costrette ad abbandonare l’ordine artificiale e che vogliono conquistarsi un posto tra i blocchi caotici e disarmonici dei detriti, dei mobili mutilati, dei cocci, delle schegge, dei brandelli che una volta erano cose, avevano un nome e un posto nella gerarchia del mondo. Ora invece sono tutti indistintamente accozzati, avvinghiati, sommersi l’uno sotto l’altro. Cercano di non rimanere soffocati sotto il peso di tutti gli altri piccoli pezzi di frammenti senza più un nome e senza più un futuro, cercano di rimanere il più in alto possibile, accarezzati dal sole e bagnati dalla pioggia. Così si illudono di sopravvivere al disastro, di resistere, di essere pronti a reinventarsi, a ridiventare qualcosa, a riappropriarsi di un nome e di una funzione.
In realtà saranno solo i primi dei loro compagni di sventura ad essere portati via dalle ruspe.

domenica 4 settembre 2011

Apollo

Fa caldo. Insopportabilmente caldo.
Butto il mio corpo, quasi con violenza, sul pavimento della camera in cerca di fresco.
Ma tu te ne vai e io non resisto, ti devo seguire, anche se il mio corpo è stanco, ti vado a cercare, per ributtarmi per terra dove sei tu, con la testa vicino al tuo piede, per sentirti, per non perdere anche te.
E' l'ora del pomeriggio, la peggiore, quella che mi riporta ai ricordi più strazianti, ai momenti di felicità appena perduta, e mi sfugge un lamento, ma piano, non voglio farmi sentire da te, che mi ami ma che non puoi riempire il vuoto che sento dentro e mi strugge.
Faccio scorrere le ore così, aspettando oltre ogni speranza, con il cuore a mille ad ogni rumore che mi possa far pensare ad un ritorno, ma ogni volta rimango deluso, sono ancora abbandonato.
Poi tu mi chiami, mi coccoli, mi sussurri parole dolci e mi prometti che presto ritornerà la FELICITA', che non devo disperare, che devo aver fiducia in te. E io mi illudo che ciò sia verità e sono allegro, mi sollevo, riprendo i cocci del mio cuore e tento di vivere questa illusione che mi regali!
Sono quasi felice, sento che posso farcela, do tutto me stesso per compiacerti anche se temo che prima o poi tornerà il buio e l'angoscia e mi sfugge un lamento. Perdonami! Mi butto ai tuoi piedi e ti guardo, amica mia, compagna del mio dolore.

Io, l'amica, ti ringrazio per il tuo amore triste e disperato e non sai quanto ti comprendo!
Anch'io, sola, sento a volte la disperazione che mi assale e vedo il buio intorno.
Anch'io mi sento abbandonata e vorrei buttarmi ai tuoi piedi in cerca di conforto, pur sapendo che la felicità non è una conquista che mi spetta, ma un lento e doloroso cammino che non sappiamo quando avrà un compimento. A volte la sfioriamo ma non sappiamo afferrarla, spesso la vediamo quando è troppo tardi e si allontana, qualche volta la cerchiamo nel modo sbagliato, mai la comprendiamo appieno.
Ho già percorso tanta strada, ho avuto tanto amore, ma mi sento persa nell'evolversi dei giorni che mi sfuggono e non so dove mi portano. Vorrei fermare il tempo, ma corre così veloce.
Grazie amico perchè mi insegni la fedeltà totale, la speranza oltre ogni limite.
Come siamo simili anche se così diversi!
Io che ti domino quanto sono piccola davanti alla tua misurata saggezza!
In questo caldo pomeriggio d'agosto mi stringo a te e ci amiamo in silenzio, accomunando le nostra tristezza, nell'attesa di quel momento agognato in cui tornerà la felicità.
Apollo è un cane.....

lunedì 20 giugno 2011

Oltre la Luna

A Luna non piacciono i viaggi lunghi in aereo. Non perché la spaventi il decollo o l'atterraggio o il fatto di essere a diecimila metri d'altezza, ma perché è convinta che le persone mostrino il loro lato peggiore, a causa dei disagi a cui sono sottoposte. Ed è consapevole di non essere esente da questo comportamento.
La sensazione che prova è quella di viaggiare in un carro bestiame riservato agli essere umani. E questo l'ha sempre considerato intollerabile per la società del ventunesimo secolo.
Quando aveva consegnato il passaporto e la carta d'imbarco al gate, aveva ricevuto in cambio un sorriso che le era sembrato più sincero di quanto si aspettasse. Nel tragitto successivo verso l'aereo, le erano venuti in mente i racconti che un suo amico scriveva su un blog, facendola un po' sognare ogni lunedì sera. Parlava di un pilota d'aerei e della sua vita, fatta di momenti ed emozioni riservate alle poche persone che decidevano di usare due ali metalliche come se fossero le proprie. Una volta entrata nel velivolo s'era ricordata che la vita nell'Economy Class era ben diversa da quella nella cabina di pilotaggio.

La fase di decollo era andata bene ed ora gli assistenti di volo stavano servendo il pranzo. Come sempre, Luna aveva scelto il pollo; sa bene che è meglio evitare la pasta sugli aerei, così come in ogni parte del mondo che non sia l'Italia. Questa scelta, però, aveva incuriosito i suoi due vicini, che probabilmente avevano dedotto la sua nazionalità dal libro che stava leggendo fino a pochi minuti prima.
Con l'occasione della pasta, Luna aveva iniziato a parlare con la sua famiglia nuova di zecca. La stupiva sempre come sull'aereo si creassero relazioni con persone mai viste e che mai sarebbero ricomparse nel resto della vita. La struttura del velivolo costringe i passeggeri ad interagire continuamente con i propri vicini, per andare in bagno, per consegnare il vassoio alla fine del pasto, per prendere il lettore MP3 nel bagaglio a mano o per molte altre azioni. Il fatto di dover parlare in una lingua diversa dalla propria aggiunge difficoltà alla comunicazione, e vedere una persona che comunica con difficoltà predispone sempre a rispondere in modo più gentile.
La condivisione di una situazione di disagio che avvicina le persone e le rende in qualche modo migliori.
Luna ama i viaggi lunghi in aereo.

sabato 4 giugno 2011

Ombre - Il Barone

Caoticamente Precisava
vacui dettagli
sghignazzando sottigliezze,
sottobicchieri nel mezzo d'un naufragio,
mentre la folla abbandona
la nave
perché ha di meglio da fare.
Ad ascoltarlo rimaneva una sporca dozzina
trattenuta dalla clientela,
svolazzante attorno alla lanterna
della fama,
richiamata dall'affinità,
alla ricerca di un
.......................(del???)
..................................pezzo mancante,
per dovere
...............o per passione.
Immancabile claque
accompagna l'affondamento
fra i flutti della risacca
di gesso
fino alla spiaggia
di plastica
sotto il volo circolare
dell'orologio.

lunedì 30 maggio 2011

News from Australia part 12

Molto semplicemente una lista di cose che mi sono piaciute di questa esperienza, che porterò sempre con me come ricordo e preziosa ricchezza:

  • Il profumo della vecchia macchina di Mary: un misto di odori che riconoscerei in mezzo ad altri mille e che mi hanno fatto sentire a casa dal primo giorno.
  • L’esplosione della natura in tutte le sue forme e in modi che non avrei mai immaginato potesse esprimersi.
  • Il tempo dedicato, cercato, voluto per lunghe passeggiate senza meta.
  • Sdraiarmi ogni sera prima di andare a dormire sul giardino di casa a guardare le stelle cadere.
  • Le culture e costumi di giovani ragazzi nostri coetanei di mezzo mondo, di cui ho appreso pensieri, speranze e idee e con cui ho condiviso i miei sogni e un pezzo di strada.
  • Gli spazi giganti di questa terra, che mi hanno fatto sentire minuscolo ma non per questo meno importante.
  • La bassa marea dell’oceano che è sempre qualcosa di magico a cui assistere in silenzio.
  • Leggere, scrivere, pensare, pregare, riscrivere, con la grande fortuna di non dover rincorrere il tempo e dando ad ognuna di queste azioni il solo ritmo della necessità.
  • Aprire gli occhi alle tante incongruenze che mi porto dentro, dar loro un nome e provare ad affrontarle o accettarle da qui in poi.
  • Sentirmi più vicino che mai a voi che con pazienza e bellezza avete accolto le mie parole durante queste settimane.
  • La solitudine difficile di certi momenti, la solitudine arricchente, la solitudine sofferta, la solitudine desiderata, la solitudine affascinante, la solitudine pericolosa, la solitudine evitata di tanti altri.
  • Scoprire nei libri e nella musica compagni di viaggio fedeli e pazienti.
  • Vedere che me la cavo ancora abbastanza bene con una palla da basket in mano.
  • Fermarmi in punto preciso per scattare una foto e poi proseguire.
  • Muovermi sempre con lo zaino sulle spalle, ovunque andassi.
  • Tutti i concerti improvvisati in mezzo alla strada a cui ho avuto la fortuna di assistere.
  • Il colore dell’acqua, dei coralli, dei pesci, degli uccelli e delle nuvole al tramonto.
  • I fumetti dell’orrore che ho letto per capire meglio i dialoghi.
  • Una chiacchierata di tre ore con una ragazza italiana incontrata per caso al molo.
  • Non aver trovato una risposta alla domanda: “Cosa vuoi fare da grande?”. Avevo il terrore che capitasse, in mezzo a tutti questi pensieri.
  • Sapere fin da adesso che sarà un’esperienza fondamentale, ma non capirne a fondo il motivo.
  • I cartelli stradali che ti avvertono di prestare attenzione all’attraversamento dei canguri.
  • Guardare un sacco di film, che mai avrei la voglia di guardare a casa, tipo “Alvin superstar” che ho visto per davvero, per il semplice motivo di vederli in inglese.
  • Sentire la vostra sincera mancanza.
  • La messa in inglese.
  • Farmi paladino e rappresentante dell’Italia nel mondo, con tutte le bellezze e i difetti, suoi e miei.
  • Vedere come esista una sola grande “razza” australiana formata da gialli, neri, bianchi, rossi e verdi che riescono ad andare oltre il colore della pelle e vivere pacificamente o quasi.
  • Sentirmi fortunato e privilegiato, sentimenti che ogni volta che sperimento mi riempiono di responsabilità.
  • Leccare il culo di una formica locale perché ha il gusto del limone.
  • Incrociare lo sguardo di chiunque per strada, per cui la risposta e il dono è sempre stato un sorriso.
  • Gli occhi azzurri e profondi di certi bambini aborigeni che, contrastando con il nero della loro pelle, mi hanno fatto pensare alla perfezione.

Fortunatamente non tutto è sempre stato così piacevole, quindi mi sembra giusto concludere con quello che invece non mi è piaciuto di questo viaggio, e che spero di portare con me come monito e completamento:

  • Gli occhi dei genitori di quei bambini, così pieni di vino e tristezza.
  • Non aver avuto la possibilità di andare pienamente a fondo nelle relazioni, per colpa di una lingua che, per quanto migliorata a livelli di cui mi ritengo ampiamente soddisfatto, ha comunque rappresentato un limite.
  • La birra australiana: troppo frizzante e leggera.
  • La moquette di camera mia, non proprio la prima cosa che associo quando penso alla parola “aspirapolvere”.
  • Il modo di divertirsi dei ragazzi australiani, che prima bevono e poi diventano simpatici.
  • L’assoluta mancanza di storia nelle strade di una città e una nazione troppo giovani. Il passato ricorda da dove vieni e che errori è bene non ripetere, eppure questo concetto sembrano averlo radicato molto più da queste parti che da noi.
  • L’accoglienza, che dicevo prima, di chiunque arrivi, ma che non rispetta e coinvolge chi su queste terre ha vissuto per millenni, discriminato, emarginato e condannato a una vita di serie B.
  • Non aver avuto la possibilità di suonare la chitarra e di giocare a calcio come si deve.
  • L’assoluta mancanza di amore delle giovani madri che ho incontrato sui vari pullman nel rivolgersi ai figli in passeggino che piangevano invano in attesa di essere ascoltati.
  • La vista di un samoano ciccione a torso nudo che ho visto divorare due gelati in altrettanti minuti mentre si infilava le dita nel naso e rideva sguaiato guardando un video su internet. E’ uno dei primi personaggi che ho incontrato arrivando qui, ma difficilmente lo dimenticherò! Ho trovato giusto scrivere anche le cose che non mi son piaciute proprio pensando a lui.

Ovviamente non è tutto, ma è quello che in un’oretta mi è venuto in mente ripensando a caldo a questi mesi. Nel tempo avrò modo di pensare ad altri episodi, aneddoti, pensieri che voi raccoglierete dalla mia viva voce.

Grazie davvero per la vostra attenzione!