Le giornate calde e afose di luglio sono difficili da sopportare in campagna. L'aria è talmente pesante da consumare tutte le energie, persino respirare richiede uno sforzo.
È la seconda dura, durissima estate che Rafael passa in Italia, a lavorare nel “Ranch Cavalli Bianchi”. Più terribile del caldo asfisiante per un guardiano di cavalli c'è solo il grande freddo. A gennaio e febbraio quando il gelo ricopre ogni cosa e raggela ogni movimento, anche il più impercettibile.
Sono due anni che ha lasciato la sua terra, la sua famiglia, la sua vita, quella vera, quella fatta di affetti, di sogni, di speranze, anche di sconfitte e difficoltà, ma sempre condivise con le persone care; quella in cui il duro lavoro è ripagato la sera quando torni a casa, vedi il sorriso di tua moglie e ascolti le tue figlie che ti raccontano cosa hanno imparato a scuola.
É passato quasi un anno dall'ultima volta che è riuscito a tornare in Romania per qualche settimana, dall'ultima volta che ha visto le sue bambine. Nina, sua moglie invece è venuta a trovarlo da poco, è rimasta solo qualche giorno, ma quando le difficoltà impongono un tale sacrificio si impara ad apprezzare davvero il valore immenso racchiuso nell'espressione “solo qualche giorno”.
Ogni sera, dopo aver finito di distribuire il fieno, dopo dieci ore di fatica e di sudore, dopo aver cenato con la famiglia del suo datore di lavoro, Rafael attraversa il campo sabbioso per arrivare nel suo piccolo appartamento dietro alla selleria. Intorno a lui il buio e il silenzio, spezzato solo dall'abbaiare dei cani. È come una sorta di rituale che si ripete alla fine di ogni giornata, un breve momento incastonato nel percorso che va dal casolare all'edificio della selleria. In quel breve tratto di strada è libero di pensare a cosa non sopporta di questa vita. Spala letame due volte al giorno in ogni box, in ogni paddock e l'odore di cavallo è impresso sui suoi vestiti e sulla sua pelle. Ma non è questo: lui ama tutto questo, ama i “suoi” cavalli, gli unici amici in questa terra straniera, gli unici che non gli vengono incontro solo per dirgli di fare qualcosa, di essere più svelto, di medicare la zampa di Pablo e di aggiustare la staccionata, gli unici che non lo guardano con aria di sufficienza mentre sposta balle di fieno sotto il sole cocente, gli unici che se potessero parlare gli chiederebbero al mattino “come stai?”.
È questa indifferenza, questa patetica aria di superiorità, questa distanza che Rafael vorrebbe lavare via insieme all'odore di letame misto a fango o a terra nuda. Ma il sapone non basta.
Del resto manca ancora poco, qualche mese, un paio d'anni al massimo, e poi potrà tornare dalla sua famiglia per tornare a vivere una vita dignitosa e felice.
A centinaia di kilometri di distanza una bambina di 6 anni piange mentre sua madre le disinfetta il ginocchio dopo una caduta dalla bicicletta e la rassicura dicendole che quando si impara a pedalare è facile cadere, ma poi ci si rialza e ci si rimette in sella, il giorno dopo.
Suo padre non sa che è caduta, che ora è spaventata. Forse pensa che presto sarà lui ad insegnarle a pedalare e forse non si immagina la sorpresa che lo aspetta nel vedere che avrà già imparato. E anche se non sa cos'è, già lo assale il rimpianto di non aver potuto vedere quella prima caduta.
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