What if I say you're not like the others?


Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!

lunedì 20 dicembre 2010

HiKu

Slowly through August
this life of mine flows Over
never the same twice

martedì 14 dicembre 2010

Rafael

Le giornate calde e afose di luglio sono difficili da sopportare in campagna. L'aria è talmente pesante da consumare tutte le energie, persino respirare richiede uno sforzo.

È la seconda dura, durissima estate che Rafael passa in Italia, a lavorare nel “Ranch Cavalli Bianchi”. Più terribile del caldo asfisiante per un guardiano di cavalli c'è solo il grande freddo. A gennaio e febbraio quando il gelo ricopre ogni cosa e raggela ogni movimento, anche il più impercettibile.

Sono due anni che ha lasciato la sua terra, la sua famiglia, la sua vita, quella vera, quella fatta di affetti, di sogni, di speranze, anche di sconfitte e difficoltà, ma sempre condivise con le persone care; quella in cui il duro lavoro è ripagato la sera quando torni a casa, vedi il sorriso di tua moglie e ascolti le tue figlie che ti raccontano cosa hanno imparato a scuola.

É passato quasi un anno dall'ultima volta che è riuscito a tornare in Romania per qualche settimana, dall'ultima volta che ha visto le sue bambine. Nina, sua moglie invece è venuta a trovarlo da poco, è rimasta solo qualche giorno, ma quando le difficoltà impongono un tale sacrificio si impara ad apprezzare davvero il valore immenso racchiuso nell'espressione “solo qualche giorno”.

Ogni sera, dopo aver finito di distribuire il fieno, dopo dieci ore di fatica e di sudore, dopo aver cenato con la famiglia del suo datore di lavoro, Rafael attraversa il campo sabbioso per arrivare nel suo piccolo appartamento dietro alla selleria. Intorno a lui il buio e il silenzio, spezzato solo dall'abbaiare dei cani. È come una sorta di rituale che si ripete alla fine di ogni giornata, un breve momento incastonato nel percorso che va dal casolare all'edificio della selleria. In quel breve tratto di strada è libero di pensare a cosa non sopporta di questa vita. Spala letame due volte al giorno in ogni box, in ogni paddock e l'odore di cavallo è impresso sui suoi vestiti e sulla sua pelle. Ma non è questo: lui ama tutto questo, ama i “suoi” cavalli, gli unici amici in questa terra straniera, gli unici che non gli vengono incontro solo per dirgli di fare qualcosa, di essere più svelto, di medicare la zampa di Pablo e di aggiustare la staccionata, gli unici che non lo guardano con aria di sufficienza mentre sposta balle di fieno sotto il sole cocente, gli unici che se potessero parlare gli chiederebbero al mattino “come stai?”.

È questa indifferenza, questa patetica aria di superiorità, questa distanza che Rafael vorrebbe lavare via insieme all'odore di letame misto a fango o a terra nuda. Ma il sapone non basta.

Del resto manca ancora poco, qualche mese, un paio d'anni al massimo, e poi potrà tornare dalla sua famiglia per tornare a vivere una vita dignitosa e felice.

A centinaia di kilometri di distanza una bambina di 6 anni piange mentre sua madre le disinfetta il ginocchio dopo una caduta dalla bicicletta e la rassicura dicendole che quando si impara a pedalare è facile cadere, ma poi ci si rialza e ci si rimette in sella, il giorno dopo.

Suo padre non sa che è caduta, che ora è spaventata. Forse pensa che presto sarà lui ad insegnarle a pedalare e forse non si immagina la sorpresa che lo aspetta nel vedere che avrà già imparato. E anche se non sa cos'è, già lo assale il rimpianto di non aver potuto vedere quella prima caduta.

venerdì 10 dicembre 2010

Prison Break

E' da qui dentro che vi parlo, dalla mia angusta tana all'interno della prigione. Una fortezza a prova di fuga.
La prigione in questione, quella in cui sono rinchiuso, non esiste.
E' questo il motivo per cui è così difficile fuggire. Non ha sbarre, non ha celle, non ha guardie. Non ha nemmeno un perimetro di alte mura e filo spinato.
Nessuna pesantissima porta blindata. Non ci sono punti di riferimento al suo interno.
In realtà, non ha interno.
Da questa galera non posso scappare, però questo non significa che ogni tanto non ci provi. So che altre persone sono rinchiuse, le sento, le vedo, ma non sono lì con me. Li vedo dentro la gabbia, non so se loro vedono me. Tutti quelli che come me sono rinchiusi si dibattono e si disperano. Se te lo vuoi immaginare, è come uno dei gironi infernali. Burroni di rocce taglienti, fiamme cocenti che fanno indietreggiare. Sagome umane, sporche e incatenate, che si lamentano e si trascinano.
Sono da solo in tutto questo. In questa prigione posso muovermi liberamente, ed è proprio questo il motivo per il quale non posso andarmene. Ovunque io vada, sono sempre e comunque in trappola. Non c'è posto in cui non possa andare, stranamente però sono sempre dentro. Con fatica ho cercato molte volte un cunicolo per scappare e, quando ho creduto d'averlo trovato, l'ho imboccato, ma non sapevo che l'uscita era sempre la gattabuia. Anni passati tra rancore e tristezza, anni interi spesi ad escogitare piani di evasione per lasciarmi dietro la gabbia. Non potevo sapere che al di fuori della prigione c'è sempre la prigione.
Alcune volte, ero convinto di essere evaso, ero contento di aver trovato la libertà, fino a quando non sbattevo di nuovo la faccia contro le sbarre.
Sbarre che non suonano di metallo quando le batti.
Sbarre di fumo.
Sbarre che non esistono.
Sono rinchiuso in questa prigione perchè mi ci sento rinchiuso.
Non ci sono piantine o planimetrie di questo posto, è un labirinto che muta, che cambia i propri corridoi in base a dove mi sposto.
La prigione eterea.
La prigione eterna.
Non mi resta che provare un'ultima volta. L'ultimo azzardato tentativo di fuga di un prigioniero stanco. L'unica cosa che mi resta ancora da provare è di smettere di voler scappare.
Chissà, magari questa volta ci riesco.

lunedì 6 dicembre 2010

Colombia

Il mio viaggio in Colombia è incominciato un mese fa. Voleva essere un grandioso viaggio alla ricerca della sapienza di questo popolo martoriato per secoli, un popolo fatto di così tante diverse etnie ma unito da uno stesso destino. Seduta al tavolo del mio appartamento di Roma riesco distintamente ad assaporare i ricordi e mi sembra di tornare a camminare laggiù. Ad Aracataca si respira il profumo delle pagine scritte da Gabriel Garcìa Màrques, è come se si sentissero le voci dei Buendìa in ogni angolo della strada, come se fossimo magicamente approdati nel mitico villaggio di Macondo, dove in una casa fuori dal tempo si odono i sospiri di Amaranta Ursula e Aureliano. In questo posto magico, nelle strade su cui si affacciano i bellissimi balconi delle vecchie case coloniali, colorati dalle pennellate dei fiori, in cui si sente distintamente l'odore della guerra e della storia, in questo angolo di mondo in cui si vedono svettare alti fino a sfidare il cielo moderni grattacieli e poco più in là il degrado e il fango delle favelas, in questa terra incredibilmente carica di tradizione e di energia, qui ho cercato il senso della vita degli uomini.

Ho scoperto il profumo del Sole che sorge all'orizzonte e che accarezza i tetti delle baracche qui nei sobborghi, ho sentito il calore dei suoi raggi sulla nuda polverosa terra colombiana, ho visto i volti di donne talmente belle che anziché invidia o gelosia hanno suscitato in me solo ammirazione e incanto, ho visto mescolanze di colori tanto incredibili che non pensavo potessero esistere davvero, ho sentito la voce della libertà nei canti dei bambini che giocano a piedi scalzi, il calore dell'amore di una madre costretta dalla miseria a fare la prostituta e a vendere il suo corpo per far crescere suo figlio, il senso dell'autentica felicità nelle risate fragorose di due bambine che saltano alla corda e si divertono semplicemente così, anche sporcandosi i vestiti, senza il bisogno di avere costosi giocattoli e perfetti parchi da gioco.

Qui ho pensato di trovare le risposte a cos'è la felicità e a dove ci porta la ricerca del significato della nostra esistenza. Ho trovato lo sguardo di un vecchio seduto sul bordo di una strada e ho visto la luce incredibile che riflettevano gli occhi di quell'uomo che dalla vita non ha mai avuto nulla e non ha mai chiesto niente di più di quel nulla, perché in realtà forse lui ha avuto tutto.