Un rombo assordante accompagna Un'ombra nera nella notte. La vedo per un istante. Poi scompare.
Fulminea. Lasciando dietro sé una scia di rumore tuonante. Quello rimane. Ne percepisco le vibrazioni nell'aria ancora dopo qualche minuto.
Un sogno. No, troppo veloce per essere un sogno.
Riccardo accarezzava il brivido pericoloso della velocità, mentre spezzava le barriere del vento e del tempo. Solo. Con la sua moto.
Non si rendeva davvero conto di sfidare quella linea sottile che divide quasi impercettibilmente la vita dalla morte, la corsa dal baratro, la suggestiva finzione dalla spaventosa realtà, lanciandosi tra le curve come verso il vuoto.
Il freddo congela le lacrime e imprigiona le emozioni dietro la porta del domani.
La percezione della velocità paralizza il dolore, lo lascia indietro, alla partenza, e da esso fugge in un attimo, e ogni attimo se ne allontana di più.
Passando fulmineo per le strade, poteva tenere il resto del mondo fuori dal casco: la paura, l'angoscia, la rabbia restano a guardare, come impietrite, come le case e come me, immobili, inermi, incapaci di sapere davvero cos'hanno visto passare.
Il tempo non esisteva più, o forse non era mai esistito in quel viaggio disperato.
Non esisteva nemmeno la rabbia, nemmeno il ricordo delle urla di quell'ultimo litigio. Non esisteva nulla. Assolutamente nulla.
Era l'unico modo per lasciarsi tutto quello che lo faceva soffrire alle spalle, come l'asfalto rovente dopo il suo passaggio. Era l'unico modo per dimenticare tutto per un istante, il tempo di quel viaggio. Solo per un attimo per sempre.
Così sfidava la notte. Sfidava il coraggio. Sfidava la possibilità di trovare soluzioni.
Sapeva però che non sfidava se stesso; da se stesso semplicemente fuggiva.
Si rifugiava in quella strana dimensione al di là del tempo e al di là delle emozioni solo per rifugiarsi dalla realtà.
Ma un viaggio come questo non può durare in eterno: la benzina prima o poi finisce, la notte prima o poi finisce,anche la strada prima o poi finisce.
E bisogna scendere. Bisogna respirare. Bisogna piangere. Bisogna anche urlare.
Ma tutto questo un pilota in corsa non lo sa, non può saperlo.
Perchè non può sapere nulla, non può sentire nulla se non il rombo spaventoso tutto intorno, non può vedere nulla se non il suo stesso viaggio.
Ad un tratto Riccardo vide un muretto. Lo vide all'ultimo. Solo all'ultimo.
Poi sentì solo che il rombo si era spento. Vide che la sua gamba era incastrata sotto la moto e ad un tratto iniziò a sentire il dolore. Il dolore di un pezzo di lamiera sotto il ginocchio, sì, anche quello.
Ma soprattutto il dolore silenzioso della sua anima, della sua vita. Quello che era rimasto fermo nel cortile di casa quando aveva acceso il motore, ma che come un'ombra invisibile gli era rimasto accanto, sempre a pochi passi dalla moto, come una spia ben addestrata, pronto ad assalirlo non appena si fosse fermato.
What if I say you're not like the others?
Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!
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