Sono trascorsi 21 anni da quando è incominciato tutto, dalle
prime bolle speculative americane del 2008. All'inizio non pensavamo che
saremmo arrivati fino a questo punto, non avevamo idea che si stavano aprendo
le porte dell'inferno.
La crisi dei debito sovrani europei non era la fine del
capitalismo. Era la fine di tutto, del nostro mondo, del nostro tempo, delle
nostre vite.
Le prime immagini di Atene in fiamme ci avevano sconvolti;
poi il fuoco è arrivato anche da noi. Insieme con la guerra civile. Nelle
città, nelle strade, nelle piazze. C'è chi ha combattuto mettendo a ferro e
fuoco il Paese, chi lo ha fatto resistendo alla violenza, chi con in mano una
pistola, chi con un libro, chi con una Bibbia. Abbiamo lottato e abbiamo perso
tutti.
Il nostro Paese non c'è più. Non ci sono più le nostre case,
i nostri giardini, le nostre feste. Non è rimasta più nessuna traccia di vera
umanità sulle ceneri di questa nostra vecchia Europa. Quella fenice che era
rinata sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale è stata colpita a morte, di
nuovo. È iniziata la Grande Depressione, la Grande Disperazione, il Grande
Incubo.
Non abbiamo più niente. Né il futuro, né la speranza, né
l'orgoglio, né l'amore. Forse non siamo più nemmeno capaci di perdono.
È morta la bellezza e con essa sono morti i sogni e pure le
illusioni.
All'inizio protestavamo contro la precarietà, adesso
preghiamo per avere un lavoro a cottimo che ci dia il pane per una settimana.
Ci i ndignavamo di fronte a quei politici corrotti, oggi non sappiamo nemmeno
più cosa sia la Politica. Scendevamo in piazza contro l'abolizione
dell'articolo 18, ora non esistono più i sindacati. Viviamo di fame e di
vergogna.
La Fiat ha chiuso l'ultimo stabilimento, quello di
Mirafiori, proprio dietro casa, il 14 giugno 2017. è rimasto lì, un monumento
arrugginito per le anime di un'altra storia, di un altro tempo.
Sono arrivati piano
piano i colonizzatori cinesi e indiani. Con la loro ricchezza, con i loro
ricatti. Ogni lunedì mattina facciamo la fila per essere presi a lavorare fino
al venerdì. Le eccellenze italiane oggi sono vendute a basso costo, i loro
sapienti artigiani sono più che servi. Le madri insacatolano le vecchie ricette
della tradizione per spedire lontano i prodotti etnici del terzo millennio.
Passano la settimana nelle grandi cucine e poi non sanno cosa dare da mangiare
ai loro figli la sera.
Siamo tutti prigionieri di un mondo che ci si è rivoltato
contro, senza pietà e senza sconti. Ora i ricchi non siamo più noi.
Siamo i prigionieri della caverna di Platone, ma senza
speranza di salvezza. Perchè noi arriviamo dalla luce. Ricordiamo il mondo che
c'era fuori ma rimaniamo fissi a guardare le ombre riprodotte dal fuoco: le
registrazioni televisive di vent'anni fa, unico legame con le illusioni
calpestate del vecchio mondo.
Si dice anche che sia morto Berlusconi, in Brasile dove era
scappato. Ma nessuno sa se è vero o no.
Non è rimasto nessuno: i ricchi più furbi sono cappati in
tempo per andare a fare i ricchi altrove, gli altri non sono stati risparmiati
dalla Grande Depressione.
Ho venduto tutto anch'io, a parte qualche libro e un vecchio
quadro, l'unica ancora di salvezza, le uniche cose che hanno il sapore di
umanità.
Tutti abbiamo scambiato quello che avevamo con il pane. C'è
chi ha prostituito il proprio corpo, chi la propria anima. Chi ha venduto i
suoi fratelli, chi il proprio Dio.
Oggi si muore di polmonite, di parto, di disperazione. Io
avrei voluto diventare giornalista e mi ritrovo a tessere la cronaca
dell'orrore, dell'incubo, della miseria. Sono testimone della fame,
dell'ingiustizia, del dolore.
Forse i nostri figli -quelli che sopravviveranno- potranno
lottare per avere indietro la dignità e la vita. Per loro che non hanno visto
consumarsi la discesa nel precipizio forse una speranza c'è. Loro che sono nati
nel buio della caverna forse avranno la forza di spezzare le catene e risalire
verso la luce del mondo là fuori. Per noi non c'è speranza.
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