Tu cacciatore avventato, hai preso la mira, mite nel bosco, ostentando la tua falsa inoffensività.
Agitando le nude mani, hai nascosto le armi occhieggiando al cerbiatto,
ti guardava egli docile cedendo alla sua naturale innocenza.
Allora hai sparato più volte, finchè con un tonfo è caduto.
Grande lo stupore nei suoi occhi sgranati nel sentire il calore causato dalle ferite
non capisce il perchè,
e mentre lo abbracci e lo stringi piangendo pentito
egli non sente, finalmente.
non sente più niente.
What if I say you're not like the others?
Point Particle è un blog nato per ospitare le idee e i pensieri di chiunque voglia scriverci. Nella sua pur breve vita, ha accolto e fatto leggere pezzi molto diversi, scritti da persone molto diverse. Pezzi che forse raccontano la storia di chi li ha scritti, o magari l'accarezzano soltanto. Frutti di un'ispirazione che a volte riesce a disporre le lettere una di fianco all'altra proprio in quel modo che ti fa provare qualcosa di speciale. Un'ispirazione che si è manifestata in persone normali, come te e come me. Persone che hanno deciso di condividere qualcosa con chiunque passasse di qui, anziché perdere i propri pensieri nei meandri della mente.
Perché chi deposita qualcosa in questa piccola banca non ha niente da perdere, ma chi apre questa pagina e legge qualche pezzo ha molto da guadagnare.
E allora... Buona lettura!
lunedì 31 maggio 2010
venerdì 14 maggio 2010
Fiori appassiti
Era una sera fredda e piovosa, tanto più fredda e piovosa perchè i primi giorni di maggio si vorrebbero lasciare i giubbotti invernali nell'armadio, proprio nell'angolo più lontano e buio. Ma anche il tempo a volte è come se cercasse di adeguarsi alle circostanze, è come se volesse incorniciare nel modo più adeguato le vite degli uomini, e adeguarsi alle diverse sfumature dei pensieri che li accompagnano,proprio come accade nei grandi romanzi. E il ritmo quasi marziale di questa pioggia battente era proprio lo stesso che guidava il respiro di chi quella sera camminava per le tristi vie del centro, si trascinava indifferente a ciò che si muoveva intorno, persino al proprio monotono procedere.
Ad un tratto lo scenario esterno cambiò. Luci, risate, un acceso chiacchierio, profumo di mojito mischiato a quello di bellini e di rhum cooler nella stessa sala. La pioggia era rimasta fuori dal locale, ma con essa non la sobria malinconia dei passi solitari di Massimo, passi ancora più soli e pesanti in mezzo a quelli di chi rideva rumorosamente passando da un tavolino all'altro.
Nella sala più piccola del Flower gli altri avevano già preso posto.
Erano ormai quasi due mesi che si ritrovavano davanti ad una birra per raccontarsi le loro storie, per trovare nella solitudine degli altri un frammento della loro stessa tristezza. Giovani uomini e giovani donne che copiando in qualche modo le riunioni degli alcolisti anonimi, o almeno le scene dei film, speravano non del tutto consapevolmente di non staccarsi dal loro passato, da ciò che li faceva ancora soffrire, da quell'unica via dolorosa che pensavano li tenesse legati a loro stessi e alla loro vita.
Fabrizio era stato il primo: il tatuaggio che tnon nascondeva sul braccio con il nome di Elisabetta in caratteri gotici era il segno tangibile della sua ostinata voglia di non guardare avanti. A Leo il mese precedente erano servite tre birre prima di riuscire ad evitare che la voce tremasse mentre raccontava di quando era uscito di strada nel gelo di una insolente mattina di Dicembre, finendo faccia a faccia con la morte riflessa nel manto di neve del burrone. Voleva, doveva portare una lettera a Giorgia. Voleva, doveva convincerla a tornare indietro. Voleva, doveva sconfiggere la bufera, perchè non voleva, non doveva aspettare un solo attimo in più. Lucia non aveva in realtà raccontato la sua storia, ma ogni sera, ad ogni incontro tutti leggevano la sua sofferenza nelle frasi pronunciate senza nennemo più molta convinzione, senza mai un tono diverso nella voce, senza mai che distogliesse lo sguardo dal vuoto. All'inzio nessuno capì perchè Elisa partecipasse alle riunioni. Era una ragazza frizzante e piena di vita, che frequentava molti ragazzi e che se non si impegnava in una relazione stabile era solo perchè aveva ventidue anni e a ventidue anni si può scegliere di godersi la vita e rimandare gli impegni con l'amore a più in là. Ma quelle riunioni erano l'unico sentiero che conduceva al giardino che lei con apparentementemente così poca fatica teneva nascosto a tutti. In quelle rare occasioni non nascondeva il vuoto lasciato da un amore non ricambiato, dall'indifferenza di un sorriso non apprezzato e di un'occasione mai concessa. Giulio diceva di non essre più innamorato di Cristina, di non esserlo forse mai stato, ma di non riuscire a staccarsi da lei da quando si erano lasciati. Gli era impossibile non sentirla, non vederla, non uscire la sera con lei, pensare seriamente di frequentare un'altra. Forse non sapeva nennemo quanto tutto questo fosse sbagliato.
Quella sera sarebbe stato il turno di Andrea. Non sapeva ancora comeavrebbe raccontato che cosa gli aveva detto Anna qualche mese prima, che cosa l'aveva spinta a chiudere una relazione di tre anni. Come avrebbe svelato che l'avrebbe voluta sposare, che aveva già immaginato la sua vita con lei, che non avrebbe mai più amato un'altra.
Massimo non parlava quasi mai. Ascoltava. Ascoltava attentamente. Cercava di non lasciar trapelare nulla del suo dolore che mascherava con una sprezzante ostilità verso tutte quelle storie, verso tutte quelle lacrime trattenute e rigettate indietro. Diceva che non valeva la pena soffrire così, lasciarsi coivolgere in quel modo.
Aprì la carta del menù. Inutilmente perchè sapeva già cosa avrebbe preso.
Ma c'era qualcosa di strano. Un biglietto. "Quando un fiore è sbocciato, è sbocciato. Ma quando è appassito, è appassito. é inutile conservarlo e farlo seccare nella propria casa, simulacro senza vita di un antico splendore. Non emana più il profumo delicato e spumeggiante di un tempo. Non cattura più i raggi del Sole e il bagliore dei suoi raggi. Ormai è appassito."
Lo lesse e lo lasciò al centro del tavolo.
Elena ogni sera portando le birre ai clienti sentiva i discorsi di quello strano tavolino, ne percepiva l'amara rassegnazione che strideva così forte con il disincantato ottimismo che caratterizza la giovane età, ma aveva visto che in quegli occhi verdi, spenti, ci doveva essere ancora un barlume di felicità.
Ad un tratto lo scenario esterno cambiò. Luci, risate, un acceso chiacchierio, profumo di mojito mischiato a quello di bellini e di rhum cooler nella stessa sala. La pioggia era rimasta fuori dal locale, ma con essa non la sobria malinconia dei passi solitari di Massimo, passi ancora più soli e pesanti in mezzo a quelli di chi rideva rumorosamente passando da un tavolino all'altro.
Nella sala più piccola del Flower gli altri avevano già preso posto.
Erano ormai quasi due mesi che si ritrovavano davanti ad una birra per raccontarsi le loro storie, per trovare nella solitudine degli altri un frammento della loro stessa tristezza. Giovani uomini e giovani donne che copiando in qualche modo le riunioni degli alcolisti anonimi, o almeno le scene dei film, speravano non del tutto consapevolmente di non staccarsi dal loro passato, da ciò che li faceva ancora soffrire, da quell'unica via dolorosa che pensavano li tenesse legati a loro stessi e alla loro vita.
Fabrizio era stato il primo: il tatuaggio che tnon nascondeva sul braccio con il nome di Elisabetta in caratteri gotici era il segno tangibile della sua ostinata voglia di non guardare avanti. A Leo il mese precedente erano servite tre birre prima di riuscire ad evitare che la voce tremasse mentre raccontava di quando era uscito di strada nel gelo di una insolente mattina di Dicembre, finendo faccia a faccia con la morte riflessa nel manto di neve del burrone. Voleva, doveva portare una lettera a Giorgia. Voleva, doveva convincerla a tornare indietro. Voleva, doveva sconfiggere la bufera, perchè non voleva, non doveva aspettare un solo attimo in più. Lucia non aveva in realtà raccontato la sua storia, ma ogni sera, ad ogni incontro tutti leggevano la sua sofferenza nelle frasi pronunciate senza nennemo più molta convinzione, senza mai un tono diverso nella voce, senza mai che distogliesse lo sguardo dal vuoto. All'inzio nessuno capì perchè Elisa partecipasse alle riunioni. Era una ragazza frizzante e piena di vita, che frequentava molti ragazzi e che se non si impegnava in una relazione stabile era solo perchè aveva ventidue anni e a ventidue anni si può scegliere di godersi la vita e rimandare gli impegni con l'amore a più in là. Ma quelle riunioni erano l'unico sentiero che conduceva al giardino che lei con apparentementemente così poca fatica teneva nascosto a tutti. In quelle rare occasioni non nascondeva il vuoto lasciato da un amore non ricambiato, dall'indifferenza di un sorriso non apprezzato e di un'occasione mai concessa. Giulio diceva di non essre più innamorato di Cristina, di non esserlo forse mai stato, ma di non riuscire a staccarsi da lei da quando si erano lasciati. Gli era impossibile non sentirla, non vederla, non uscire la sera con lei, pensare seriamente di frequentare un'altra. Forse non sapeva nennemo quanto tutto questo fosse sbagliato.
Quella sera sarebbe stato il turno di Andrea. Non sapeva ancora comeavrebbe raccontato che cosa gli aveva detto Anna qualche mese prima, che cosa l'aveva spinta a chiudere una relazione di tre anni. Come avrebbe svelato che l'avrebbe voluta sposare, che aveva già immaginato la sua vita con lei, che non avrebbe mai più amato un'altra.
Massimo non parlava quasi mai. Ascoltava. Ascoltava attentamente. Cercava di non lasciar trapelare nulla del suo dolore che mascherava con una sprezzante ostilità verso tutte quelle storie, verso tutte quelle lacrime trattenute e rigettate indietro. Diceva che non valeva la pena soffrire così, lasciarsi coivolgere in quel modo.
Aprì la carta del menù. Inutilmente perchè sapeva già cosa avrebbe preso.
Ma c'era qualcosa di strano. Un biglietto. "Quando un fiore è sbocciato, è sbocciato. Ma quando è appassito, è appassito. é inutile conservarlo e farlo seccare nella propria casa, simulacro senza vita di un antico splendore. Non emana più il profumo delicato e spumeggiante di un tempo. Non cattura più i raggi del Sole e il bagliore dei suoi raggi. Ormai è appassito."
Lo lesse e lo lasciò al centro del tavolo.
Elena ogni sera portando le birre ai clienti sentiva i discorsi di quello strano tavolino, ne percepiva l'amara rassegnazione che strideva così forte con il disincantato ottimismo che caratterizza la giovane età, ma aveva visto che in quegli occhi verdi, spenti, ci doveva essere ancora un barlume di felicità.
mercoledì 5 maggio 2010
Mi avvicino e il respiro è sospeso
Gli occhi serrati. La mia concentrazione è su altri stimoli che lo sguardo farebbe disperdere a discapito di più forti sensazioni.
Un delicato fremito, poi una stretta allo stomaco e un brivido lungo la schiena, un torrente in piena di adrenalina avanza, galoppando fino alle più remote estremità del mio corpo. Trasalisco.
Come interminabili esplosioni, nel mio petto riecheggiano le palpitazioni. I sussulti del mio cuore si fanno sempre più intensi. Posso sentire il suo battito e il corpo è pervaso da un intenso calore. Nuovamente un sussulto.
Il soave profumo mi pervade e un leggero solletico al viso mi ruba un sorriso. Un delicato fremito. Il mondo attorno non dà segni; l’esistenza è tutta là, pura e immacolata è catturata in quegli istanti ed io, assorto in un mondo onirico fatto di sentimenti di sogni ma anche di verità, mi cullo in queste braccia eteree, consapevole della realtà che rappresentano. Tutta quell’essenza in un gesto.
L’emozione, nel suo delicato velo di seta, mi avvolge.
Le tue labbra si staccano dalle mie: “è ora di andare” “no ti prego, un altro bacio”
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